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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/116

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xcv
     Disse Boorte allor: Padre famoso,
Ben veggio il vostro dir verace e chiaro;
Ma troppo al core in arme valoroso
Sembra il fuggir più che ’l morire amaro.
Che dirà Seguran vittorioso
Che d’ogni nostro biasmo è fatto avaro?
Come dolce gli fia di poter dire:
- Anco il nostro Boorte fei fuggire? -
xcvi
     Allora il saggio re gli rispondea:
Se ’l fero Seguran di questo vanto
Si vorrà ornar con la menzogna rea
Non gli sarà creduto tanto o quanto
Da qualla grande schiera ch’io vedea
L’altr’ier versarse in lamentevol pianto
Di donne e di donzelle che per voi
È senza sposi, figli e fratei suoi.
xcvii
     E così ragionando, il piè ritira
L’uno e l’altro de i due con gli altri insieme
Verso i fossi del campo, e non rimira
Chi di dietro il cammin correndo preme.
Ivi la turba rigida, ch’aspira
Alla morte di quei, d’intorno freme,
E con aste lontan, dardi e saette
Fan de i passati lor larghe vendette.
xcviii
     Ma il fero Seguran chiamando grida:
Dunque fuggite voi chiaro Boorte?
Ov’è l’alto valor ch’oggi s’annida
Dentro l’animo vostro altero e forte?
E perchè come suole, or non si fida
Nell’arme che gli fur sì amiche scorte
In tanti luoghi già? Perch’or s’addorme
E d’un sol Seguran paventa l’orme?
xcix
     Quando il guerrier di Gave ode il parlare
Dell’orgoglioso Iberno, muor di duolo,
E ’l caval gira indietro, e vuol tornare:
Ma il trasporta, mal grado, il folto stuolo.
Tre volte tenta in van quello sforzare
E tre volte da lui gli è tolto il volo;
E condotto è nel fin dall’altrui possa
Ove il campo cingea l’ultima fossa.
c
     Ivi d’alto timor venìa ricinta
La torma de i cavai tutta fuggendo,
Ch’altrui sospinge ed è d’altrui sospinta,
Con ordine intricato e suono orrendo.
Dietro a lei ratta vien di doglia avvinta
L’altra gente pedestre, e angusta essendo
La porta ch’al fuggir facea le strade
L’un sopra l’altro riversato cade.
ci
     Lì dimora Boorte, che ritruova
Non lunge a lei l’Armorico Tristano
Che di fargli voltar face ogni pruova,
Ma tutto il suo sforzar ritorna vano:
Che ’l confortare o minacciar non giova
Nè l’oprar verso lei cruda la mano,
Chè sì cieco è ’l timor, ch’a certa morte
Vuol più tosto cader ch’a dubbia sorte.
cii
     Ma poi ch’altro non può, tutto sostiene
De’ nemici il furor, mentre ogni schiera
Ad una ad una in sicurtà perviene,
Invidia avendo a chi v’andò primiera.
Lionello e Baven, che seco viene,
Oprano ancor con lui, che poca pèra
Della gente scacciata, e col piè fermo,
E con l’armata man le fanno schermo.
ciii
     Così questi famosi cavalieri
Quai quattro ferocissimi molossi
Ivi apparian, che serrino i sentieri
A’ lupi in tra le gregge a ferir mossi:
Ch’or van mordendo innanzi arditi e feri,
Or di lor seggio e di potere scossi
Tornansi indietro, e fanno alti romori
Risvegliando i vicini e i lor pastori.
civ
     Ma il crudo Seguran chiamando i suoi
Quanto può maggiormente intorno suona:
Graditi miei guerrieri e sacri eroi,
Non perdiamo il favor che ’l ciel ne dona.
Or non sentite, or non vedete voi
Come all’aspra fortuna s’abbandona
Ogni duce miglior ch’hanno i nemici
Contr’a l’arme d’Avarco vincitrici?
cv
     Or non lassiamo indarno trapassare
La bella occasion che ’l crin ne mostra,
Che non sentiam con danno poi biasmare
Il voler lento e la pigrezza nostra.
Leve ed agevol fia d’oltra varcare,
Se vorrete spiegar la virtù vostra,
Quei fossi angusti e mal difese valli
A i nostri velocissimi cavalli.
cvi
     Or è il tempo a mostrar che desiate
Sopra ogni regno umano eterna gloria,
Chè la patria v’è cara, e d’essa amate
Libertà, sicurtà, pace e memoria,
E cinto tutto di gran palme aurate
Il fabbricarvi un tempio alla Vittoria
Ove si leggan poi mille e mill’anni
I larghi nostri onori e gli altrui danni.
cvii
     Ma duro è l’indugiar, che ’l tempo vola
Ch’a lor toglie il timore, a noi la speme:
Ch’un volger d’occhio, una parola sola
Spesso quello assicura, e questa preme.
La fortuna si cangia, e ’l cielo invola
Sovente il frutto onde fu amico al seme,
Che l’una e l’altro contr’a quei si sdegna
Nel cui gelato cor tardanza regna.
cviii
     Poi volto al suo destrier, diceva: Etone
Sopra cui tante spoglie riportai,
Or di mostrar fierezza hai ben cagione,
Se per altra stagion l’avesti mai.
Non aspettar puntura di mio sprone,
E solo il confortar ti muova assai;
E non ti sopravegna aspro letargo
Come venne l’altr’ier, lasso, a Podargo: