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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/119

Da Wikisource.

xx
     E tanti dello stuolo a morte danno
Che no ’l porrìa contar voce terrena.
Ma di quei più famosi e di più danno
Avea posto Tristan sopra l’arena
L’Iberno Peristeo, che quei che stanno
Dentro all’Ultonia con lo scettro affrena:
Che ’l passò d’una punta ove il palato
Sopra il fin della lingua è riversato.
xxi
     Doppo il qual sopra l’elmo Brioneo,
Che del gran Segurano era scudiero,
Con la spada percosso cader feo,
Dipartita la fronte, su ’l sentiero:
Nè men di quello il forte Lilibeo
Che sovra la Laginia aveva impero,
Di percossa mortal nel lato manco
Mandò in man di Pluton gelato e bianco.
xxii
     Archettolemo poi Boorte truova
Che gli vuole impedir, misero, il passo:
Ma l’alta nobiltà nulla gli giova,
Ch’era di Seguran poco più basso,
Che l’arme gli passò d’antica pruova,
Onde cadde il meschin di vita casso,
Passato in tutto ove congiunto il petto
Tiene il suo seggio il core ascoso e stretto.
xxiii
     Doppo ’l qual per sua sorte incontra Atora,
Che di Momonia ricca aveva il regno,
Che ’l largo fosso trapassava allora
E gli par d’alta gloria esser al segno:
Così fortuna alla medesim’ora
D’aspra morte e d’onore il rendeo degno,
Che gli fece ampia strada nella gola,
Onde l’alma fuggendo in alto vola.
xxiv
     E ’n tal modo abbattendo or questo or quello
L’illustrissima coppia in dietro riede,
E districata dallo stuol rubello
Corre veloce dove Arturo vede,
Che ’ntorno solo avea picciol drappello
Di quei di più valore e di più fede:
Chè di quanti altri son, la maggior parte
Smarrito ha per timor la forza e l’arte.
xxv
     Nel core allor si rasserena alquanto,
I due veggendo che più d’altri stima:
E gli occhi oppressi da sdegnoso pianto
Dice: Or son io d’ogni miseria in cima,
Or l’empio Seguran verace il vanto
Si potrà dar, come già falso in prima,
Ch’ei d’ogni dubbio sol trarria Clodasso,
E ’l Britannico onor porrebbe in basso.
xxvi
     Ma il tempo altro chied’or che lamentarse:
Però vi prego il pondo sostegnate
Con questi pochi ch’han le forze scarse,
Se dal vostro valor non son alzate:
Et io men vo dove nascose e sparse
Son l’altre nostre genti spaventate,
E vedrò con minacce e con preghiere
Di rispingerle fuor con le sue schiere.
xxvii
     E così ragionando, ratto prende
La bianca insegna sua dall’altrui mano,
E dove è il padiglione il passo stende
Di Maligante a tutti prossimano,
Chè in mezzo assiede, e lui securo rende
Quel del buon Lancilotto e di Tristano,
Che quai d’ardire e di virtude amici
Volser la sede aver presso a i nemici.
xxviii
     Ivi adunque il gran re con chiare grida
Chiamando i capitani alto dicea:
Ov’è ’l primo valor che ’n voi s’annida,
Che sprezzar suole ogni fortuna rea?
Or nell’albergo ascoso si rifida
E la pigrizia vil tien per idea?
Ove gite son or di tutti quanti
Le ventose promesse e i falsi vanti
xxix
     Ch’allor che fummo all’isola di Vetta,
Di coro o d’aquilon chiamando il fiato,
Udiva a mensa far, tenendo stretta
La man con Bacco al suo liquaore amato?
Chè minacciava ogni uomo aspra vendetta
Sopra ’l popol d’Avarco, ove arrivato
Fosse di Gallia al desiato loco,
E d’accender ivi entro eterno il foco;
xxx
     E che ciascun di voi sarebbe a cento
Et anco a più di quei di forza pare.
Ma create dal vin le portò il vento,
E le spense da poi l’ondoso mare:
Ch’ora a quel ch’io ne veggio, a quel ch’io sento,
Del vostro dir tutto il contrario appare,
E ch’oggi in questa misera battaglia
Più che mille di voi l’un d’essi vaglia.
xxxi
     Poi con più dolci note, Maligante,
Ch’è già corso al suo dir, prega e conforta:
Or non volete voi spingere avante
Con la vostra onorata e fida scorta
Ch’a nessuna iva dietro a molte innante,
Et or par ch’a viltade apra la porta?
Torni quel core in voi ch’io sempre vidi
Splender intra i più arditi e ’ntra i più fidi;
xxxii
     E ve ’n gite volando ove Tristano
E Boorte illustrissimo lassai,
Che mantengon di qui lo stuol lontano
Che ne minaccia pur gli ultimi guai
E seguendo Brunoro e Segurano
Fia del nostro terren, signore, omai,
Se voi con gli altri duci insieme accolti
Non gli avete con l’arme indietro volti.
xxxiii
     Il medesmo da poi pregando afferma
Al nobile Abondano ed Agraveno,
E discaccia il timore e ’l cor conferma
A Gerfletto, Arganoro ed a Gaveno;
E la turba che fugge tra via ferma,
E con parlar di riverenza pieno
Senza lor danno far, senza minaccia,
Al difendersi indietro gli ricaccia,