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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/134

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cix
     E con sommo desio ciascun ritruova
Sotto il suo basso ostel l’inculta cena,
Nella qual ragionando si rinnuova
L’aspra guerra mortal di sangue piena;
E ’n dolce sicurtà diletta e giova
Il rimembrar fra lor l’andata pena.
E poi ch’hanno al digiun sazie le voglie
Giocondissimo sonno in sen gli accoglie.

CANTO XV

ARGOMENTO

      Si consiglia la notte il re Britanno
Con Tristano, Gaven, Lago e Boorte,
I quai celati agl’inimici vanno
Ed uccidon di lor le prime scorte.
Seguran corre a riparare il danno
Tra le sue schiere fuggitive e smorte:
Ma già il nemico il battagliar sospende:
Questo e quel campo la nuov’alba attende.

i
Il fosco carro suo la notte avea
Dal mezzo del cammin poco disgiunto
Quando il chiuso dolor che ’l sen premea
Il Britannico re desta in un punto.
Scuotegli il cor la tema, e gli parea,
Quale il passato dì, che fusse giunto
Il fero Seguran con nuova possa
Per gli argini spianar dell’altra fossa.
ii
     Del letto in cui giacea ratto discende
Che gli sembra vicin vedere il giorno;
L’antica spoglia poi, ch’appresso pende,
D’un feroce leon si cinge intorno.
Ponsi il cappello in testa, ed in man prende
Il gemmato suo scettro e d’oro adorno,
Però che armato il collo e le due braccia
Del ferro avea, che mai non spoglia o slaccia.
iii
     Come del padiglion trae fuor la testa
Il sospetto del dì subito sgombra,
Che ’l Vulture cadente il manifesta
Che del meridiano il calle ingombra.
Volge la vista poi dubbiosa e mesta
A’ molti fuochi che vincevan l’ombra
Di quei d’Avarco, e rimanea dolente
Di veder sì vicina e sì gran gente.
iv
     Indi tosto a chiamar manda Gaveno,
Che di tutti all’albergo era il più presso,
Che ratto appar di meraviglia pieno,
Come del pio signore ascolta il messo,
Senza il suo manto avere e sciolto il seno,
Che di nuovo accidente il campo oppresso,
Miser, temea più d’altro, e con ragione,
Poi che di tal miseria era cagione;
v
     E gli dice: Alto re, qual nuova cura
Del riposo miglior così vi priva?
Or non sapete ben che poco dura
Di quel la vita che del sonno e’ schiva,
Nè mai si ritrovò l’alma natura
Mantener senza lui persona viva?
E sendo il ben di tanti posto in voi,
Non devreste sprezzar gli ordini suoi.
vi
     Non son, disse il buon re, caro nipote
Atti a giungersi in un l’arme e ’l riposo,
Che l’un dell’altro ogni migliore scuote,
E sospinge il compagno in loco odioso:
E tanto più se le celesti rote
Hanno il benigno lume altrui nascoso,
Come al presente a me, che sempre omai
Ho carco il sen di dolorosi guai.
vii
     Ma d’altro e’ la stagion che di tai detti;
Però gite all’intorno, e quetamente
Tristan chiamate e gli altri duci eletti,
Che lassando gli alberghi immantenente
Vengan senz’arme taciti e soletti,
Non rompendo il ristoro all’altra gente,
Al loco ove la guardie assise stanno,
Ch’ivi attendendo lor mi troverranno.
viii
     Partesi allor Gaveno, e ’l re sovrano
Con poca compagnia s’addrizza a piede
Ove il re Lago sta poco lontano,
Ma quasi aggiunto alla pretoria sede.
Nell’albergo entra, e ben ch’accorto e piano
Le secche arene con la pianta fiede,
Tosto svegliato l’Orcado domanda:
Chi sei tu ch’entri quinci, e chi ti manda?