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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/136

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xxiii
     Molti suoi parimente intorno stanno
In militare usanza stesi a terra,
Che ristorando il lor passato affanno
Prendon fresco vigor per nuova guerra.
I tre famosi re vicin gli vanno,
Nè gli scioglie il gran sonno che gli atterra;
Onde il re Lago alla vellosa sede
Il franco cavalier sveglia col piede,
xxiv
     Lieto dicendo a lui: Come or dormite,
O rettor famosissimo di Gave,
Mentre così vicino e ’ntorno udite
De i nemici accampati il romor grave?
Svegliate i sensi, e col gran re venite
Ove a trattar d’alta meteria s’ave:
Nè v’incresca il lassar le molli piume,
Dapoi che ’l nuovo sol raccende il lume.
xxv
     Alla percossa e ’l dir tutto turbato
L’onorato guerrier dal sonno sorge
Ed al brando fedel, ch’avea dal lato,
In atto di ferir la destra porge;
Poscia in dolce vergogna rivoltato,
Tosto che ’l re co i due compagni scorge,
Del subito furor, quanto più puote
Scusando l’error suo, la colpa scuote,
xxvi
     E dice: Ei mi parea che Segurano
Assalisse improvisti i nostri fossi,
Sì ch’ogn’altro soccorso era lontano,
Ond’io soletto alla difesa fossi.
Però non sia miracol se la mano,
Spaventato al chiamar, nell’arme mossi,
Che, come sempre desto, così in sogno
Col medesmo pensier l’istesso agogno.
xxvii
     Ma per quel che mi sembra, non si mostra
Del giorno anco vicin segno apparire,
Quantunque io so che la pigrizia nostra
Mal si possa scusar, non che coprire,
Sendo già in piè l’alta persona vostra
Per far gli altri peggior del nido uscire:
Tal che non più ne supera d’onore
Che poi di vigilanza e di valore.
xxviii
     Ah - risponde il re Lago - io v’assicuro
Che qualor vi vedrà sotto a tal tetto
Stellato in oro e di cristallo puro,
Nudo in tal guisa e ’n così dolce letto,
Che vi perdonerà l’eccelso Arturo,
Nè di cor femminil v’arà sospetto.
Et ei dolce ascoltando, appella i suoi,
Già desti all’arrivar de i grandi eroi.
xxix
     Arma la testa poi di duro acciaro,
Ma di quel più leggier ch’a piede adopre;
Poi dell’irsuto vello, ch’è il più caro
Vestimento ch’ei porte, si ricuopre
D’un orso alpestre, già stimato al paro
D’ogni fero leone in core e in opre,
Che già i Norici monti assai lunghi anni
Tenne in aspra temenza e ’n gravi danni:
xxx
     E che molti guerrier d’alto ardimento
Che ’l volsero assalir condusse a morte;
Per la fama del qual, chiaro talento
Di volerlo provar venne a Boorte,
Nè di seco luttare ebbe spavento,
Fin che si ritrovò di lui più forte:
Ch’oltra ogni altrui credenza il pose a terra,
Poi, ferendolo al cor, finìo la guerra.
xxxi
     Nè vestì mai da poi più ricco arnese
Da quel giorno ch’ei l’ebbe; il qual cingea
Con lacci aurati, onde gli fu cortese
Il buono Efeo che ’l Norico reggea;
Poi per fare alle genti più palese
Quanto il servigio in grado si prendea
Di melle aste gli fece oltra quei dono,
Che durissime e lunghe ivi entro sono.
xxxii
     Or di sì altera spoglia ricoperto
Prende lo scudo solo oltre alla spada.
Già son venuti dove al campo aperto
Il riparo novel taglia la strada:
L’accorto Bandegam dell’arte esperto
Truovan ch’al fosco cielo intento bada
A dar fine al lavor cui Maligante
Avea dato principio il giorno avante;
xxxiii
     E col popolo agreste, ch’è infinito,
Di legni e di terren ricinto ha intorno,
Ove i carri pria fur, tutto quel lito,
E di picciole torri in cerchio adorno,
In cui stia degli arcier lo stuol partito
Per securo ferir l’avverso corno,
Che nel fosso scendendo, dalle spalle
Senta di mille strali offeso il calle.
xxxiv
     Quando vede il gran re che in sì poch’ore
Tal sia fatto de’ suoi saldo sostegno,
Volto al buon Maligante:Il sommo onore
- dice - accende più d’un nel vostro regno.
Ben di voi sa seguir l’alto valore
Il pio vostro german, nè mica indegno
D’esservi tale: e l’opre sue leggiadre
Del nome degno il fan ch’aveva il padre.
xxxv
     In tai parole, intorno a Bandegamo
Con amoroso cor le braccia stende;
Ed egli allora: Ogni fatica chiamo
Ben locata - signor - che ’n voi si spende,
Poi che ’l prezzo maggior ch’al mondo bramo,
La vostra alta mercede, a noi si rende,
Ornandone voi qui di tante lode,
Onde un’alma gentil più d’altro gode.
xxxvi
     Poscia i fossi varcando, ha ritrovato
Il famoso Tristan che in cerchio gira,
Se le guardie ben son nel dritto lato
E secondo il dever s’ascolta e mira;
E ch’accusando l’un l’altro ha lodato
E sopra i peccator versata l’ira:
Che quanti può veder che ’l sonno cuopra
Ch’ei non si destin mai col brando adopra.