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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/148

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lxv
     E di lui fa cader la maggior parte,
E gli fa grave duol nel destro braccio,
Chè ’l ferro che ’l copria tutto diparte
Come se fosse stato vetro o ghiaccio:
Tal che di breve sangue stille ha sparte,
Che al peso sostener dan tanto impaccio,
Oltra la gente ch’ivi arriva stretta,
Che gli chiude il cammin della vendetta.
lxvi
     Pur non resta però, che con la spada,
Che già in alto tenea no ’l fera in fronte;
Ma con poco vigor convien che vada,
Chè male accompagnò le voglie pronte:
E ’l destrier paventando cangia strada
Nè vuol più col nemico esser a fronte,
E di fuggir fra’ suoi dietro lo sforza,
Ch’a chi governa il fren manca la forza.
lxvii
     Così fu trasportato il gran Germano
Fuor, con suo grave duol della battaglia;
E ’l gran Boorte con l’invitta mano
Vie più d’una lorica rompe e smaglia.
In questa a gran furor giunge Abondano
E ’l prega umilemente che gli caglia
D’aiutar Maligante al manco corno,
A cui fa Seguran dannaggio e scorno,
lxviii
     Et ei mosso a pietà, vedendo ancora
Lassare a’ suoi guerrier securo stato,
Nestor di Gave appella ch’a d’ognora
Col suo cugin Baven si trova a lato
E dice ad ambedue: Bene in brev’ora
Da Maligante a voi sarò tornato.
Prendete in questo mezzo cura tale
Che non venga tra voi piaga mortale.
lxix
     Poi, quanto può spronando, in fuga truova
Senza fren ritener quasi ogni gente,
Che ’l dir di Maligante a nessun giova,
Che ’l fero Seguran presso si sente:
Al qual corre Boorte, e mette in pruova,
Com’altra volta, il braccio suo possente;
Ma vien la spada alla sinistra spalla,
Ch’alla fronte addrizzato il colpo falla.
lxx
     Pur fu cotal che se men duro alquanto
Il suo fosco dragon lo scudo avea,
Fora di Seguran quel giorno il vanto
Forse in pregio minor che non solea.
Salvollo adunque, ma squarciosse quanto
Ne prese il brando, onde sua sorte rea
Biasmando disse: O re famoso Iberno,
Troppo avete in favore il Regno eterno;
lxxi
     E lui più solo e ’l troppo duro scudo
Devete ringraziar, non l’opra vostra,
Che son cagion ch’io m’affatico e sudo
Indarno, e nulla val la forza nostra.
Ma l’aspro Segurano irato e crudo
Risponde: Se fia ver che la man mostra,
E non la lingua, il gran valore altrui,
Tosto il farò veder, Boorte, a vui.
lxxii
     E ’n tai parole con più forza il fere
Che facesse pastor già mai mastino
Che ’l vaso pien di latte feo cadere
Quando mungea le gregge nel mattino:
Ma nello scudo sol venne a cadere,
Che della testa allor cuopre il confino,
E non men di dolerse ebber cagione
I candidi ermellini che ’l dragone.
lxxiii
     Era aspra la quistion, se in quell’or anco,
Come fra lor più volte era avvenuto,
Non la sturbava d’uno e d’altro fianco
Il popol già vicin sopravenuto.
Spartonsi dunque, e dove rotto o stanco
Più vede il corno suo, lì porge aiuto
Ciascun de i cavalier, nel core acceso,
Che gli par dal nemico esser offeso.
lxxiv
     Truova Boorte il caro Maligante
In micidial battaglia con Rossano,
L’uno e l’altro di lor guerriero errante,
D’ardir, di forza e di valor sovrano.
L’uno e l’altro di lor d’aspro e pesante
Colpo ha impiagata la sinistra mano,
Ch’ambo han rotti gli scudi e stesi a terra,
Ma con le destre sol fanno aspra guerra.
lxxv
     Ebbe di ciò veder soverchia doglia,
Nè sa ben che si fare in tale stato.
Di vendicar l’amico avria gran voglia,
Poi gli par di guerrier grave peccato
Se d’un ferito e sol cercasse spoglia
Di due spade concordi accompagnato;
Onde grida lontan sì che quel solo
Fuggendo ritrovò l’amico stuolo.
lxxvi
     Guarda Boorte allora, e lasso vede
Punto d’alto dolore il re di Gorre,
E che ’l sangue stillando infino al piede
Dall’impiagata man sì largo corre
Che ’l mancante vogor fugace cede:
Tal che convenne al fin dietro a lui porre
Megete il suo scudier, che ’l sostenesse
In fin che ’l padiglion trovato avesse;
lxxvii
     E fu ben perigliosa, che venìa
La piaga ove la man la palma stende
Tra ’l terzo osso e ’l secondo che s’invia
Ove il dito più grosso il valor prende,
E che spesso al perire apre la via,
Contraendosi i nervi ch’ivi offende;
Ma il subito rimedio e la pia sorte
E l’arte di Serbino il tolse a morte.
lxxviii
     Or Rossano il Selvaggio, che riposto
Tra’ suoi nel loco istesso era ferito,
Grida altamente ch’a Boorte opposto
Sia qualche buon guerrier non meno ardito:
Se non che Palamor si vedrà tosto
Con gli Aquitani suoi sgombrare il lito.
Come ciò sente il forte Palamede
Saglie a caval, chè si trovava a piede,