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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/150

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xciii
     Truova Promaco appresso, che signore
Fu grande all’Aquitanica Roccella,
Ch’avanzò di ricchezza e di splendore
Quanti allor Visigoti erano in ella,
E ’ntorno avea di sangue e di valore
Schiera di cavalier fiorita e bella
Che viene a ricercar col cor sicuro
Ove tanti uccidea l’invitto Arturo;
xciv
     E perchè innanzi a gli altri alquanto sprona,
Lui rincontra il Britanno tutto solo,
Cui sì gran colpo sopra l’elmo dona
Che ’l fa cader senza sentirne duolo.
Degli altri, ch’eran seco, l’abbandona
Tutto in un punto il fuggitivo stuolo,
E l’orme ivi ciascun più ascose segna,
Temendo che ’l medesmo a lui n’avvegna.
xcv
     Qual la misera cerva che si vede
Presso al fero leone il picciol figlio,
Che si strugge di duol, ma non provvede,
Che gliel vieta il timor del crudo artiglio,
E mentre in dubbio tien la mente e ’l piede
Il crudo predator fatto vermiglio
Scerne del sangue pio, perch’ella al fine
S’appiatta e fugge alle più ascose spine;
xcvi
     Tale avvien di costor, ma d’essi parte
Non pòn di lui schivar l’invitta spada.
Questo ucciso rovina, e quello sparte
Vede le membra sue sopra la strada:
Non val contro al gran re l’ingegno o l’arte
Nè il sentier ritrovar che cieco vada,
Che ’l feroce corsier sì ratto vola
Che la speranza e ’l tempo a tutti invola.
xcvii
     Ma non molto indugiò, che ’l gran romore
L’orecchie a Palamede ripercuote:
Che poi che di Boorte ave il furore
Quetato in parte, gìo per vie remote
Come il portò il bisogno e l’aspro core
Ove altro duce contrastar non puote;
E lì facea con nuova meraviglia
D’infiniti guerrier l’erba vermiglia.
xcviii
     Or cangiando sentier tosto s’invia
Ove sente il romor del gran Britanno,
Ed a quanti altri sien ch’ei truove in via
Dona perpetua notte o lungo affanno;
Tra’ quai Finasso il Bianco, che venìa
Facendo a’ suoi nemici estremo danno:
E gli dà colpo tal sopra la testa
Che senza senso aver qual morto resta,
xcix
     Ma, da’ suoi ricevuto, si sostiene
Sopra la sella pur tanto, che uscito
Fuor della stretta calca in luogo viene
Ove letto sicuro ha il basso lito.
Truova Agraven, che vendicar le pene
Dell’amico fedel cerca ferito,
Ma non può a sì gran forza contraddire
Ch’al destinato fin gli tocca il gire.
c
     Poi di Landone il destro e d’Uriano,
E del Brun senza gioia e di Malchino
L’intoppo incontra, che porgean la mano
Per romper l’onorato suo cammino,
Pensando in lor che poi sarebbe vano
L’aiutar il gran re da tal vicino,
E tanto più se in aspettato vegna
Mentre altrove occupato il brando tegna.
ci
     Ma il fero re dell’Ebridi, qual suole
Tigre che molti dì fame sostenne,
Che doppo un lungo andare all’ombra e al sole
Bramato armento ritrovar s’avvenne,
Che morso o piaga non l’affligge o duole
Di cane o di pastor ch’ivi convenne,
E mal grado di quei sbrama la voglia
Sopra il toro primier ch’al pasco accoglia;
cii
     Tal ei, senza curar dell’altrui brando,
Con la fronte abbassata cerca Arturo:
Il qual d’ogni timor viveva in bando,
Che gli parea da’ fianchi esser sicuro,
Allor ch’ei sente pure alto chiamando:
Eccovi, o sacro re quel giorno oscuro
Che in man di Palamede vi ripone,
Con gran lode di lui, morto o prigione.
ciii
     Rivolgesi il gran re, che questo ascolta
E gli è noto di lui l’alto valore,
Lassando di seguir la schiera folta,
Ma intrepida la mano e fermo il core;
E gli dice: Speranza frale e stolta
Avrà ciascun che risvegliar timore
In questa alma vorrà, che sola cede
A chi ritiene in ciel l’eterna sede.
civ
     E per mostrargli ben che poco il cura
Fu il primiero, e ’l ferì sopra la testa:
Ma così ferma in essa è l’arme e dura
Che in aria il colpo e senza danno resta:
Ed ei, ch’era possente oltra misura
E se mai in altra guarra or brama in questa
Spiegar quanta ha virtù, di pietà nudo
Scarca il brando mortal sopra lo scudo;
cv
     E dalle aurate tredici corone
Ond’egli è tutto intorno inghirlandato
Quattro, che ’n cima son, rotte ne pone
Lontan dall’altre all’arenoso prato.
Ma in mille parti adoppia la quistione,
Che ’l desir va crescendo in ogni lato
Di provveder per lui ratto soccorso,
Ond’ogni buon guerriero ivi era accorso.
cvi
     Tra’ primi fa al venir Florio il Toscano;
Seco avea Gargantino e Talamoro,
Il cavalier Norgallo et Abondano
Con Meliasso il bello e ’l buon Mandoro,
Il famoso Bralleno et Amillano,
Alibel, quel di Logre et Arganoro:
Ma il pio re Caradosso innanzi viene,
Che la candida insegna in alto tiene,