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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/156

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xxxix
     E così per cagioni assai diverse
L’uno e l’altro è magnanimo ed ardito.
Già l’Ebrido il primier, che ’l tempo scerse,
Sopra la destra spalla avea ferito
Il gran Toscan che mai si ricoperse,
Che tanto dall’ardore ha il cor rapito
Di far del suo caval vendetta chiara
Ch’al danno che gli vien poco ripara;
xl
     Tal che l’osso traverso, il quale appeso
Co’ tenaci suoi nervi il braccio tiene,
Fu di picciola piaga alquanto offeso,
E punte sopra lui le anguste vene.
Il Toscan lui percote ove sospeso
Lo scudo alla sinistra in alto viene,
E per forza ch’avesse anch’ei non falla
D’esso impiagar nella contraria spalla;
xli
     E lo scudo ferrato gli divise
In fin dove a quel loco ricopria.
L’altro una punta alla visiera mise
Ch’alle luci arrivar dritta venia:
Ma dove ambe le ciglia in uno assise
Per inarcarse poi prendon la via
Giunse il colpo nel mezzo, e dentro passa
E ’l volto sanguinoso intorno lassa;
xlii
     Ma però che non gìo profonda molto
E che il loco per sè non è mortale,
Non gli fa tanto mal, che a lui rivolto
Di punta anch’ei, quanto la forza vale,
Nella sinistra parte il collo ha colto
Ove il più rigid’osso in alto sale:
Et venne adentro assai, ma non che vaglia
A dar fine o imperdir quella battaglia.
xliii
     Or così già vicin l’un l’altro vanno
Che la spada al ferir non ha più loco:
Pongon a i ferri man ch’al fianco stanno
Con vie più periglioso e breve gioco.
In più d’un lato omai percossi s’hanno,
Sì ch’al termino gir mancava poco;
Ma il cvalier Norgallo, che veduto
Ha l’insegna cader, quivi è venuto.
xliv
     Corse con quel furor che ’l buon nocchiero
Ch’aggia visto cader talor percossa
O d’austro o d’aquilon da spirto fero
La fida antenna dal sostegno scossa,
Ch’or quinci or quindi va pronto e leggiero,
Ora il grido adoprando or la sua possa,
In fin che risarcito o ben renduto
Al suo loco primiero ha il danno avuto.
xlv
     Urta col suo caval senz’altra cura
Il fero Palamede, ch’a piè trova:
Cadde ei riverso, e ’l non aver paura
Nè ’l valore infinito assai gli giova;
Ma come era gravato d’armadura
Di tosto rilevar si mette in prova,
Con quella più snellezza che faria
Battuto lioncel che sciolto sia;
xlvi
     E rivolto al Norgallo dicea: Come
Non vi punse vergogna d’assalire
Un solo a piede, e ch’ha le forze dome
Dal lungo affaticare a dal ferire,
Con tal destriero? e dove or cade il nome
Ch’io solea per lo mondo altero udire
Del cavalier Norgallo, ch’a mie spese
Ho provato villano e discortese?
xlvii
     Risponde l’altro a lui: Non sempre è l’ora
D’usar la cortesia, nè in ogni parte:
Ch’ove del suo signore il ben dimora
Deve il guerrier leal provare ogni arte,
Com’or debb’io: che ’n fin ch’io scerna ancora
L’insegne del mio re per terra sparte
Per drizzarl’indi e tòrle d’altrui mano
Poca cura mi fia l’esser villano;
xlviii
     Ma doppo tale impresa in ciascun loco
Spera il basso Norgallo a Palamede
Di far veder che ’n questo e in ogni gioco
All’Ebrido valor di nulla cede;
E che di cortesia lo scalde il foco
Quando il vuol la stagion potrà far fede,
Come in più d’uno assalto mostrò assai,
Ch’al suo dovuto onor non fallì mai.
xlix
     E ’n questo dir di nuovo anco l’atterra,
Ma non cerca però di porlo a morte;
E ’l buon Toscano sciolto d’aspra guerra
Non lassa indarno gir la chiara sorte,
Chè le man porge ove negletta in terra
L’insegna si giacea priva di scorte:
E per salva condurla il passo muove,
Quando nuova tempesta vien d’altrove,
l
     Chè tornato è l’ardito Segurano
Con Arvino il fellone e ’l Ner perduto,
Grifon dell’Alto Passo e ’l suo Rossano,
A cui il tolto vigore è rivenuto
Del colpo acerbo che dall’aspra mano
Avea di Maligante ricevuto;
E de i quattro guerrier fu tal l’intoppo
Ch’a due stanchi a mal sani era pur troppo.
li
     Fu il famoso Toscan primo percosso,
Che già in alto stendea la bianca insegna,
Della qual resta d’improviso scosso
Perchè nullo ha timor ch’altri sorvegna:
E quale abeto da radice smosso
Da Borea al freddo ciel, quando più regna,
Per l’urto crudo del fellone Arvino
Si ritrova giacer col capo chino;
lii
     E quantunque temesse, così steso
E battuto com’era, in braccio stretta
La chiara insegna, si ritrova offeso
Da così grave stuol ch’a lui si getta
Che sostener non può ’l soverchio peso,
E l’anima già al cor s’era ristretta
Quasi per dipartirsi vinta e frale,
Che ’l lodato desio seguir non vale.