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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/195

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lxxix
     Et ei con quello amor tutti gli accoglie,
Che ’l buon voler d’altrui fa il sommo Giove;
E raffrenando in sè le avare voglie,
Chè spesso al vincitor vittoria muove,
Contento sol delle sue antiche spoglie
Non vuol l’armato stuol drizzare altrove,
Poi ch’al sommo pastor di Pietro erede
Con dovuta umiltà s’inchina al piede.
lxxx
     Poi nel belgico sen poco oltra appare
Con le schiere a bataglia e con l’insegne
Indarno il suo avversario richiamare,
Di marziale ardor le voglie pregne;
E quello il passo indietro ritornare
Qual lupo ove il leon vestigio segne,
Che per più angusta via spinosa e fosca
Spesso intorno ascoltando si rimbosca.
lxxxi
     Poco oltra anco apparia, dove il Tesino
Va il terreno irrigando erboso e molle,
Quando il fato maligno e ’l rio destino
Della intera virtù la palma volle;
Da l’un lato apparia ’l valor divino,
Che ’l famoso Francesco in alto estolle,
Dall’altro l’empia ed invida fortuna,
Ch’ogni forza ch’avea contr’esso aduna.
lxxxii
     Sopra l’alto corsier di ferro adorno
Con la lancia arrestata sembra un Marte,
E facendo a’ nemici oltraggio e scorno
Si vedea questa urtare e quella parte;
Poi ’l fugace de’ suoi sinistro corno
Ratto insieme ripon con bellica arte,
E con l’istessa man vie più d’un duce
Delle nemiche squadre a morte induce.
lxxxiii
     Ma non potendo al fin l’estrema possa
Sostener lasso e solo, ond’egli è cinto,
Dell’alma invitta ogni viltade scossa,
Si vedea ’n altrui forza, ma non vinto;
Chè di contraria sorte alta percossa
Il naturale ardire non ha più estinto,
Che faccia unto liquor l’ardente fiamma,
Ch’al suo primo arrivar vie più s’infiamma.
lxxxiv
     Indi aggiunto alto senno alla fortezza,
E l’onesto soffrir con degnitade,
Nel crudo vincitor l’empia durezza
Rompe e truova il cammin di libertade;
In cui di vendicar l’usata asprezza
Onorate ritrova e belle strade,
Consentendo pietoso il giogo torre
A gl’italici campi e i lacci sciorre.
lxxxv
     E ’l vicario di Cristo e quella soglia,
In cui primo sedeo l’antico Piero,
Poi ch’esser vede vergognosa spoglia
Del Germano infedel, del crudo Ibero,
Il medesmo re, di chiara voglia
Ripieno il giusto core e d’amor vero,
Le pie galliche insegne a Roma stende,
E dell’iniquo stuol libera rende.
lxxxvi
     Ivi sculto era ancor più d’una volta
L’empio avversario suo del terren gallo
Esser fugato e con la gente folta
A gran danno e disnor pagarne il fallo,
E ’ndarno sempre aver con pena molta
Sforzato muro in esso, argine o vallo;
E tenerse felice, chi potea
Rifuggendo schivar la morte rea.
lxxxvii
     Nè di Pallade in lui mostrava ascosa
L’arte onorata e la sua verde Oliva,
Ma sì vaga, sì bella e speciosa,
Che nel colle più aprico o ’n caida riva;
Ogni Musa, ogni Grazia, qual la rosa
In seno al dolce april seco fioriva;
E dolcemente si vedeano intorno
Spirargli amor d’ogni virtude adorno.
lxxxviii
     La nobil Gallia si vedea per lui
Di toga ornata e del solare alloro
Avanzar di savere i vicin sui
Nel greco e nel latino ampio tesoro;
E contra i colpi e ’l vaneggiar d’altrui,
Come l’annoso pino all’Austro e ’l Coro,
Tener ben ferme le radici prime
Dell’alte leggi del Fattor sublime.
lxxxix
     Al collo gli avvolgea le braccia caste,
E ’l bianco manto suo la pura fede,
Quasi dicendo:Alcun non mi contraste
Di lui fermar d’ogni mio regno erede;
E per ciò ben chiarir, l’essempio baste
Di quel ch’ivi vicin sculto si vede;
In cui vien l’avversario, il quinto Carlo,
Disarmato e soletto a visitarlo.
xc
     E lui poste in oblio l’aspre contese,
I ricevuti oltraggi e l’odio antico,
Essergli d’ogni ben largo e cortese,
Com’unico germano e caro amico;
E qual trionfator del suo paese,
Che più volte calcò fero nemico,
Il menò sicurissimo in quel loco,
Ove ogni bene oprar conobbe poco.
xci
     Assedea doppo lui l’altero figlio
Enrico invitto, al nome suo secondo,
Ch’a i tre lustri compiti, l’aureo giglio
Di famosa vittoria fea fecondo;
E dell’aquila cruda il fero artiglio
Che parea minacciar l’afflitto mondo,
Sol mostrandosi al Rodano feo tale,
Che più tosto che quello adopra l’ale.
xcii
     Non molto andata ancor la verde etade,
L’Alpi oltra varca al più nevoso verno,
E del serrato passo apre le strade
Con suo sommo valore ed altrui scherno;
Scaccia il nemico e rende le contrade
Furate allora al gallico governo,
E sgombrando le nubi oscure et adre
Chiaro e quieto il ciel dimostra al padre.