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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/217

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cxxxv
     Dicendo: Or non pensate, altero duce,
Che l’amor ch’ho portato al chiaro amico,
E ’l desio di vendetta, che m’induce
A chiamar Segurano aspro nemico,
Mi faccia oggi oscurar la pura luce
Di virtù vera e del valore antico,
O ricercar di voi bramata morte
Per altre che d’onor lodate scorte.
cxxxvi
     Risponde Seguran: Nulla mi curo
Di qual per danno mio prendiate strada;
Chè del mondo e di voi vivo securo
Mentre in man sostener potrò la spada;
Or si dia fine all’opra, anzi che oscuro
Lassando il nostro mondo altrove vada
Il sol cadente; che m’avanzi ancora
D’espugnare il vostr’oste larga l’ora.
cxxxvii
     E ’n cotal ragionare un colpo dona,
Che gli venne a trovar la destra spalla,
E quella inguisa e tutto l’altro intuona,
Che in basso rovinar di poco falla;
Pur reggendo alta e ’ntegra la persona,
Con un ginocchio sol piegando avvalla
Il dritto piè, ma tosto ne risorge,
E ’l brando alla vendetta altero porge.
cxxxviii
     E sopra al destro braccio per traverso,
Che più scoperto aveva, irato il fere;
Taglia oltra tanto, che di sangue asperso
Quant’ivi ha fino acciar fece cadere;
Non si sgomenta il fero o cangia verso,
Poi che sente fra sè, che sostenere
Può il grave brando ancor, che nervo od osso
Impiagato non era o d’indi scosso.
cxxxix
     Ma qual crudo leon, che ’l cacciatore,
O di strale o di dardo aggia ferito;
Che scernendo il vermiglio atro colore,
Vie più che non solea, diviene ardito,
Drizza l’irsuto vello e mostra fuore
L’artiglio e ’l dente e con la coda il lito
Battendo intorno a sè, di salto in salto
S’addrizza irato al micidiale assalto.
cxl
     Tale il gran Seguran ratto s’avventa
Verso il nemico suo pien di dispetto,
E con mille percosse in giro tenta,
E la fronte e le braccia e ’l ventre e ’l petto,
Tal che ’l popol Britanno si spaventa,
Chè di vederlo ucciso avea sospetto;
Ma l’accorto guerrier senza paura
Di difendersi sol prendeva cura.
cxli
     E col divino scudo or alto or basso
Ogni colpo che vien tenea lontano;
Nè cangiando orma o ritirando il passo
Solo in guardia ponea l’arme e la mano,
Fin che ’l feroce Iberno frale e lasso
Omai conosce il faticar suo vano;
Allor più verso lui movendo il piede
Con quanto avea potere in fronte il fiede.
cxlii
     E ’l potea ben finir, ma torta viene
La spada e sovra l’omero discende,
E ’mpiagal sì che a pena più sostiene
Lo scudo omai, che da quel lato pende;
Perch’avea i nervi incisi e l’altre vene,
Onde il braccio sinistro il vigor prende,
Spinge una punta poi, che dritta giunge,
Ove più il collo al petto si congiunge.
cxliii
     Ma non venne tal’alta che ritrove
Il cavo, in cui mortale il colpo fora;
Or dalle prime piaghe e queste nuove
Tai sanguinose stille uscivan fuora,
Ch’a pena il piede a pena il braccio muove
L’afflitto Iberno e pur si vede ancora
Lo spirto invitto ardito dimostrarse,
E quanto oppresso è più, più altero farse.
cxliv
     E qual veggiam la vincitrice palma,
Che ’n famoso edificio posta in opra
Quanto sente aggravar maggior la salma
Più d’in alto montar le forze adopra;
Cotal di Seguran la nobil’alma
In qualunque fortuna a tutte sopra
Mai nessun si mantien; nè prende cura
Della vita mortal, che poco dura.
cxlv
     Ma il buon figlio di Ban, che vede omai
Giacer nelle sue man di lui la morte,
Spoglia l’ira crudel degli altrui guai,
E pietoso divien della sua sorte,
E dice: Alto mio re, se foste mai
Per tempo alcun da più cortesi scorte
Guidato a far mercede a giusti preghi,
Quel, ch’io domanderò, non mi si nieghi.
cxlvi
     Piacciavi oggi trovar l’albergo mio,
Del quale e poi di me vi fò signore,
Ivi al re Galealto umile e pio
Domandar sol la pace e fargli onore;
E vi prometto qui, se son degn’io
D’esser da voi creduto, che ’n brevi ore
Vi renderò in Avarco e non vogliate,
Ch’io spenga sì gran lume a questa etate.
cxlvii
     Chè potete veder, ch’omai m’è dato
Sovra voi questo dì certa vittoria,
La qual non mia virtù, ma vostro fato
Stimerò sempre e di noi par la gloria;
Ma lassar senza onore in tale stato
Non potrei fuor di biasmo la memoria
D’un re sì grande e sì leale amico,
Ch’ogni essempio avanzò moderno e antico.
cxlviii
     Risponde il cavalier tutto sdegnato,
E più che altrove mai, con alto core:
Tu dunque ardisti, folle e scelerato,
Di Seguran tentar l’invitto onore?
Usa la sorte tua; ch’al duro stato
Vogl’io più presto d’infernal dolore
Per mille morti e mille esser condotto,
Che questa vita aver da Lancilotto.