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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/22

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xxv
     E ’l vostro alto e magnanimo disegno
Affermo, e che la terra omai s’assaglia:
Che pur troppo per noi sarebbe indegno
Dar vilissimo indugio alla battaglia;
E non veggia Clodasso ch’un tal regno
Che noi pensiam che sovr’ogni altro saglia
Sia, per avere un solo o due perduto,
All’estrema ruina oggi venuto.
xxvi
     Gran danno veramente è stato, e grave,
Di Galealto, e più di Lancilotto,
Ch’al gran bisogno abbandonati n’ave
E ’l più saldo pensier nel mezzo rotto:
Ma per questo so ben ch’alcun non pave
Che per servire a voi sia qui condotto,
Di far fè d’ora e sempre a quelle mura
Come contr’a virtù nïente dura.
xxvii
     Noi non venimmo in questo lito strano,
Di così nobil re seguendo i passi,
Per far chiaro con l’opre che sia vano
Di noi l’alto romòr ch’al mondo fassi,
Mai più tosto a mostrar presso e lontano
Che ’l valor nostro il grido superassi;
E ne vedrete ancor la pruova intera
Pria che questo mattin si volga in sera.
xxviii
     So che ciascun, com’io, si lagna e duole
Della tema che in noi pensate sia,
Come importar quell’ultime parole
Che del tornare indietro apron la via;
Ma prima fermo, oscuro e freddo il sole,
La terra in alto e ’l foco in basso fia
Che veggiate mancar la voglia in noi,
Mentre in vita sarem, d’obbedir voi.
xxix
     E s’io giunto al confin che cangia e fura
Il volere e ’l poter così prometto:
Che faran quei che nell’età più dura
Han le membra robuste e fermo il petto?
Vi pregheran che sol prendiate cura
Di pur tosto inviargli ove s’è detto;
E vi prometteranno in qual sia sorte,
Che voi gli loderete o in vita o in morte.
xxx
     Così detto s’assise. Allor Gaveno
Comincia: Indarno fia tutti altri udire
Dopo un tal re che largamente è pieno
Di senno, di valor, d’arte e d’ardire;
E certo son che tutti aviamo in seno
Il medesmo ch’ei dice alto desire,
Chiaro mio re, di far quanto a voi piace
Nè senza darvi Avarco, essere in pace.
xxxi
     Nè crediate ch’alcuno aggia temenza
Perch’un sol cavaliero stia da parte:
Anzi più speme è in noi di poter senza
Lui veder quelle mura a terra sparte,
Ch’ancor ch’ei mostre fuore alta eccellenza
Non è però nel fine Ercole o Marte;
Ma sì orgoglioso è ben, che spesso tale
Disprezza e biasma che più d’esso vale.
xxxii
     Riguardate ogni duce e capitano,
Ogni famoso re ch’avete intorno,
Che più d’un troverrete a lui sovrano,
Ma d’altra cortesia l’animo adorno;
Poscia ove si ritruovi il buon Tristano
Ch’all’antico valore ha fatto scorno,
Con sì fiorito stuol ch’egli ha condotto,
Si dee cura tener di Lancilotto?
xxxiii
     Muovansi pur le vostre altere insegne,
E conosca il nemico ch’ancor vive
Quella virtù che tutte l’altre spegne
Come ogni lume il sole, ove egli arrive;
E vedransi illustrissime opre e degne
Più che di quante mai si narra o scrive,
Che fien donate al vostro nome solo,
Non al superbo del re Ban figliuolo.
xxxiv
     Come tacque Gaven, subito sorge
Il buon Tristano e dice: Invitto Arturo,
Il parlar di costui cagion mi porge
Di ragionarvi anch’io piano e sicuro
Di quanto il mio veder sì frale scorge
Nello stato presente e nel futuro,
Con quella fè, con quello integro core
Che debbe un cavalier che cerchi onore.
xxxv
     Quant’ha del buon voler di tutti noi
Raccontato Gaveno è fermo e vero,
Che mille vite e mille oggi per voi
Spender siam pronti sotto il vostro impero;
Quel che ne seguirà, si resta poi
Palese ad altri ch’all’uman pensiero,
Che non può veder egli, e non poss’io,
Ciò che n’abbia disposto in cielo Dio.
xxxvi
     Deve il saggio di sè prometter l’opra,
Ma non l’effetto mai, che ’n lui non giace;
Duolmi poi che Gaveno oscuri e cuopra
Delle somme virtù la chiara face,
Quello oppressando ch’ad ogni altro è sopra,
E sia detto con nostra e con sua pace:
Che Lancilotto è tal, ch’io posso dire
Non aver di valor pare o d’ardire.
xxxvii
     S’ei fosse stato in pruova alla battaglia
D’ogni sorte con lui, com’io più volte
Con più dritta ragion, di quanto vaglia
Potria credenza aver da chi l’ascolte;
Quanto ferro schiantare e snodar maglia
Gli ho poi veduto intra le schiere folte?
Come pronto a scovrir dov’è ’l vantaggio
E come al comandare accorto e saggio?
xxxviii
     Questo dich’io perchè non sia celato
Il ver, come a i signor sovente avviene:
E perchè si può dir grave il peccato
D’un cavalier quando silenzio tiene
Ove con sì gran torto sia biasmato
Quegli a cui lode eterna si conviene;
Non per dire al mio re novella cosa
Nè ch’a sì gran bontà venisse odiosa.