Vai al contenuto

Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/41

Da Wikisource.

CANTO IV

ARGOMENTO

      Rotta la fede si dispone Arturo
Entrar co' suoi guerrier nella battaglia;
Va pur Clodasso al periglioso e duro
Ballo di Marte, e fa veder che vaglia.
Palamede, con mano e cor securo,
Semina il campo di nemica maglia;
Tristano accorre, e fa strage altrettante.
Con Palamede a fronte è Gossemante.

i
In questo tempo già d’Avarco l’oste
Tutte l’arme lassate avea riprese,
E nell’ordin medesmo eran riposte
Le genti, apparecchiate a nuove offese.
Già l’insegne che fur per terra poste
Hanno al ciel minaccianti l’ali stese,
Già le trombe sonore in ogni parte
Sveglian d’alto romor Bellona e Marte;
ii
     Perchè tosto Tristano e Maligante,
Boorte e Lïonello e gli altri insieme
Dicon ch’è tempo omai di gire avante
Verso ’l nemico che vicin gli preme.
Ma il magnanimo Arturo, che le sante
Di lassù leggi e gli spergiuri teme
Più che l’armi mortali, ordine diede
Ch’affrenasse ciascun la mano e ’l piede;
iii
     Poi riguardando al Ciel dicea: Signore
Che vedi aperto il tutto e ’l tutto sai,
Rivolgi sovra il popol peccatore
L’aspra giustizia e i meritati guai;
E ’n quei che senti d’ogni colpa fuore
Drizza di tua pietà gli ardenti rai.
La ragion pia col tuo poter difendi
E sciolto me d’ogni promessa rendi.
iv
     Così detto fe’ alzar la bianca insegna
E chiamar d’ogni loco alla battaglia:
E già sopra il destrier lieto s’ingegna
Di mostrar nel sembiante che gli caglia
Poco de’ suoi nemici, e che si tegna
Tal la vittoria in man, che non l’assaglia
Alcun nuovo timore; e ’n cotal dire
A i miglior, ragionando, apporta ardire:
v
     Valorosi miei duci e cavalieri,
Andiamo al sommo onor con lieto petto,
Chè ne promette Dio, degl’empi e feri
Nostri avversari in questo giorno eletto,
Perchè il mondo conosca, e in Esso speri,
Che non lasse impunito alcun difetto,
Ma le cose mortali intenda e curi,
E più dell’altre tutte gli spergiuri.
vi
     E vi sovvegna poi che questi stessi
Son che già tante volte avem provati,
E tante volte rotti e ’n fuga messi
Che son tinte di lor le piaggie e i prati.
Or tra sì gran trionfi e così spessi
Che sempre con onor saran lodati
Quest’ultimo verrà sì degno e tale
Che la gloria di quei farà immortale.
vii
     Poi quindi trapassando, ove scorgea
Tra’ più bassi guerrieri alcun ch’al volto
Si mostrasse temere, alto dicea:
Entriam, cari fugliuoi, nel popol folto,
Con sicuro pensar chè morte rea
L’aggia all’estremo dì per noi raccolto:
Ma non convien tardar, che la fortuna
Contra i pigri alla fin la fronte imbruna;
viii
     Nè dona il Ciel favore a quei che stanno
Lenti a veder ciò che n’apporti l’ora,
Ma solamente a quei ch’arditi vanno
Con la man pronta ove se stessa onora.
Chi desia di schivar futuro danno
Al presente periglio s’armi allora:
Muoviamo il passo, e con sicura speme,
Che non taglia il coltel dell’uom che teme.
ix
     Seguitando oltra ancora, al loco arriva
Ove de’ forti Neustri avea la schiera
Blomberisse, ed a quella innanzi giva
Quasi feroce cane in vista altera.
Tra gli estremi Blanor dietro seguiva
Come pastor che la sua gregge intera
Va mantenendo, e punge in opra o ’n detto
Chi non servasse a pien l’ordin perfetto.
x
     Contento nel suo cor, gioioso disse,
Dolcemente chiamandolo, il re Arturo:
Chi non sa il gran saver di Blomberisse
Della chiara vittoria andar sicuro?
Tutte l’erranti faci e l’altre fisse
Serrano in voi, più ch’adamante duro,
Quanto alberga lassù valore, ond’io
Sprezzo con voi fortuna e ’l destin rio.