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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/43

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xxv
     Quando vide il gran re così turbato
Quel che tanto onorò ridendo disse:
Prendete in gioco ciò, figlio onorato
Del miglior cavalier che già mai visse:
E vi sovvegna ben che in ogni stato
Ho solo in voi le mie speranze fisse.
Seguite pure, e ’l Ciel rivolga in gioia
Questa breve tra noi passata noia.
xxvi
     Così oltra passò dove Boorte
I cavalli ordinando intorno giva;
Seco aveva Baveno e ’l saggio e forte
Nestore, il suo fratel, che lui seguiva,
Ch’a’ Belgici guerrier faceano scorte
Non lunge all’Euro, su la destra riva:
I quai parendo al re starsi in riposo
Comincia alto a chiamar tutto sdegnoso:
xxvii
     Che tardate voi qui? Perchè non sète
Con gli altri omai tra le primiere squadre?
Boorte, i’ dico a voi, che ritenete
Il nome sol dell’onorato padre
Che di null’altro al mondo ebbe mai sete
Che d’esser primo all’opere leggiadre:
Pronto, accorto, svegliato e senza tema,
Di volor colmo e di virtude estrema.
xxviii
     No ’l vidi io già, ma tal per me s’udìo
Il mio re Pandragon di lui narrare
Quando egli uccise Rabilante il Rio
Che volea la Brettagna soggiogare;
Che presso a Camelotto l’assalìo,
Sendo tutto soletto in riva al mare,
E quegli avea cinquanta cavalieri
De’ miglior di Sassonia e de’ più feri,
xxix
     E ’n fra gli altri Sarondo e Filidasso:
E di tutti sol un dimorò in vita,
Che fu Mogarto, a cui Boorte lasso
D’uccider tanti gli donò spedita
La strada, e comandò ch’a ratto passo
Andasse a gli altri a dir come seguita
Fosse fra lor quella battaglia fera,
Di cui sol testimon rimaso n’era.
xxx
     Tal fu il vecchio Boorte re di Gave,
A cui par che ’l figliuol simiglie poco.
Fè d’Arturo il parlar noioso e grave
Al giovin’ onorato il cor di foco;
Ma cugin sendo a Lancilotto, pave
Di non far come quegli, e ’l prende in gioco:
Ma il famoso Baveno, al re rivolto,
Così dicea con arrossito volto:
xxxi
     Non ne ritien, signore, in questa parte
Il voler neghittoso o la viltade,
Ma per muoverci a guerra con quell’arte
Che si convien per l’animose strade:
Nè cederremmo in arme al proprio Marte,
Non ch’ad altro mortale, in altra etade;
E come l’opra par ch’aperto mostri,
Vie miglior ci tegniam che i padri nostri:
xxxii
     Che quei d’alto valor, come voi dite,
Perdèr Gave Benicco e i regni loro,
In essiglio menar le regie vite
E nell’altrui terren sepolti foro;
Ma noi con queste spade assai gradite
Avem di palma e trïonfale alloro
Le lor ceneri ornate, e molte terre
Racquistate di lor con molte guerre.
xxxiii
     Ma il pio Boorte riprendea Baveno
Dicendo or non più no, ch’a noi non lice
Di contender col re, ma tutto a pieno
Ascoltando obbedir ciò ch’esso dice:
Che suo sarà l’onor, se ’l Ciel sereno
Gli darà della guerra il fin felice,
E se ’l contrario fia, sua la vergogna;
Però ben proveder per tutto agogna.
xxxiv
     Così detto il destrier più innanzi sprona
E con cura maggior comanda intorno:
Questo chiama e lusinga, e quello intuona
Con alte voci, e gli minaccia scorno;
Or percuote il cavallo, or la persona
Di quei che fanno all’obbedir soggiorno:
Tal che diede in un punto alla gran torma
Di tutti i cavalier dovuta forma.
xxxv
     Or come suol Nettunno, ch’al soffiare
Di Zefiro sospinto il lito inonde,
Che prima di lontan si scerne il mare
Montare al ciel con le sue torbid’onde,
Poi come in bassa valle, ritornare,
Drizzando il passo alle vicine sponde,
Ove in alto mugir, di spuma carco,
Gli scogli ingombra e l’arenoso varco;
xxxvi
     Così pareano allor le schiere folte,
Che separate pria son poste insieme:
Le quai con lento gir si son rivolte
Verso il nemico suo, che già le preme.
Poi che fur più vicine, in un raccolte
Con l’arme e con l’ardir le forze estreme,
Con più avvisato cor, con menti nuove
Si confortan fra loro all’alte prove.
xxxvii
     Veggionsi i duci avanti, e d’essi soli
S’udian le voci esercitar l’impero:
Gli altri guerrier, quai semplici figliuoli
A cui mostrino, i padri il buon sentiero,
Taciti van, nè l’un de i fermi poli
Guarda la notte il provido nocchiero
Con sì gran cura, come questi fanno
Chi può loro apportar vittoria o danno.
xxxviii
     Vengon quei di Clodasso d’altra parte
Con vie più gran romor che nell’aprile
Non fa la greggia, che ’l pastor diparte
Da’ nuovi agnei dentro al serrato ovile
Per trar più largo il latte, ove in disparte
Sente afflitta chiamar con prego umìle
Il nutrimento suo la dolce prole,
Che in voci spesse si lamenta e duole.