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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/58

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xi
     E ben seco pensar di pia vendetta
Gloria portar sopra l’offeso duce;
E ’l ferì Gesileo dove più stretta
La cintura alla destra si conduce,
Locasto alla sinistra, ove d’eletta
Tempra sopra le spalle il ferro luce:
Ma gli fero ambedue sì lieve danno
Che ’n duol soverchio e meraviglia stanno.
xii
     Ma il cavalier di Gave al più vicino
Dentro al cavo del petto addrizza il brando,
E delle chiuse coste apre il confino
E ’l pon di vita e del destriero in bando.
Gesileo, ch’alla destra era in cammino
E ’l fratel d’aiutar giva cercando,
Sopra la testa di traverso fere
E non lunge al primiero il feo cadere.
xiii
     Quei che ’ntorno seguiano i buon corsieri,
Ch’ivi de’ lor signor ivan disciolti,
Porgono a i dolci amici e cavalieri
Fan gli stanchi pedestri, ch’eran molti.
Sprona il prode Boorte ove più feri
Scorge in arme i nemici, ove più folti,
E gli umilia in tal sorte, e gli dirada,
Ch’ovunqu’ei muove il piè truova ampia strada;
xiv
     Or atterra i cavalli, or quella gente
Ch’al suo sommo poter vuol contrastare.
Come talvolta il rapido torrente,
Quando armato di piogge l’austro appare
Allor che ’l sol doppo la bruma algente
Suol dell’Alpi canute il pel cangiare,
Ch’ei per doppio vigor leva la fronte
Scendendo ardito e minaccioso il monte,
xv
     E co i ponti sommersi a forza mena
Qualunque arbore incontra, argine o sasso;
Biade, armenti, pastor, la mandra piena
Degl’infelici agnei conduce in basso:
Pur giunto alfin sopra l’antica arena
Ratto e vittorïoso allarga il passo,
E quanto ivi la valle e ’l pian si stende
Al suo imero novel suggetto rende;
xvi
     Simil a lui ’l magnanimo Boorte
Quel giorno par fra le nemiche schiere:
Queste a fuga condanna e quelle a morte,
Or col ferro, or con l’urto abbatte e fere.
I miglior duci e le più altere scorte
Non ponno al greve caso provvedere,
Chè tale stringe ogn’uom timor di lui
Ch’ei non sente se stesso, e meno altrui;
xvii
     E ’n van son le minacce e i preghi in vano,
E i ricordi d’onor non han più loco.
Non giova contro a lor muover la mano,
Perch’ogn’altro morir paventan poco:
Ogni alto duce e cavaliero Ispano,
Ch’ivi erano i maggior, sembran di foco
Per lor privata e pubblica vergogna,
E di quei ritener ciascuno agogna.
xviii
     Ma come ogni fatica indarno spende
Chi vuol l’onda serrar ch’ha preso il corso,
Che può quella veder ch’a destra scende
Poi che nella sinistra avea soccorso,
O che da tergo il leve passo stende
Allor che nella fronte è posto il morso:
Poi ch’abbondata al fin cresce il furore,
Ogni freno sprezzando, esce di fuore:
xix
     A quei duci il medesmo avvenuto era
Che ’l timore affrenare ebbero speme.
Ma il feroce Boorte or quella schiera
Or quest’altra, ch’ei truova, abbatte e preme;
Or nella fronte lor che va primiera
Or con gli ultimi andar si vede insieme,
E sì oltra talor passato ha il varco
Ch’ei non si discernea da quei d’Avarco;
xx
     E già tanto piegava al fero assalto
Che indietro si fuggia tutto quel corno;
S’al gran bisogno subito Verralto
Non venia, con gli arcier ch’aveva intorno:
E seco era il possente Morassalto
Con quei della Granata al mezzo giorno,
Druscheno e Loto, il duce d’Aragona,
E Roderco co’ suoi di Barzalona.
xxi
     All’apparir de’ quai, riprende ardire
Di quei che si fuggian la miglior parte:
Ivi altro nuovo modo han di ferire
Di lontan quelle genti, e ’n giro sparte.
Poco puote il valore incontra gire,
Ch’han più che di leon di volpe l’arte,
E già più d’un famoso cavaliero
È ferito da lor, più d’un destriero.
xxii
     Non però di Boorte la virtude
Per novello accidente anco vien meno,
Ma con più sdegno e più furor si chiude
Dell’aperte ali nel profondo seno:
Nè gran ferro affocato sopra incude
Battè mai fabbro allor ch’al suo terreno
Vuol dare al pio cultor sementa nuova,
Ch’al vecchio aratro il vomero rinnuova;
xxiii
     Com’ei senza arrestar, la grave spada
Sempre menendo a cerchio, gli percuote:
Quel pon morto riverso su la strada,
Quel della mano e quel del braccio scuote,
Quell’urta col destrier, mentre ch’ei bada
Ove alcuno impiagar più dritto puote:
Tal che sol di lontan fallaci e lenti
Pon commettere i colpi in aria a i venti.
xxiv
     Ma il rio Druscheno, che in Valenza nato
Tra ’l fiume Goldamoro era e la Sema,
Poi che sente il suo popolo affannato
Di morte in preda e di soverchia tema,
Quanto può ascoso si tirò dal lato
Ove Boorte allor la gente prema;
Poi tende l’arco, e di possente strale
Addrizza verso lui colpo mortale: