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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/60

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xxxix
     Poi per l’odio ch’ei porta, e per mostrare
Di chi ’l regno gli tien ricco trofeo,
L’arme che ’ntorno ave han pregiate e care
Insieme co i cavalli adducer feo
Dentro al suo padiglion, trall’altre rare
Spoglie che di nemici ivi entro aveo;
Indi spinge più innanzi, e in ogni forma
Cerca pur di Druschen ritrovar orma.
xl
     Or ciò vedendo il cantabro Verralto,
Che la fuga de’ suoi quivi sostiene,
Druscheno appella e dice: Or dov’è l’alto
Valor, che ’l pregio sovra ogni altro tiene,
Del vostro strale, a cui ’l più forte smalto
Qual frale scorza contrastando viene,
E ’n più dritto tenor ch’al chiaro cielo
Non saetta i suoi raggi il re di Delo?
xli
     A che ’l serbate voi, ch’or no ’l movete
In chi tutto distrugge il popol nostro?
Cui di spegner già mai vi verrà sete
Se non vi vien di così orribil mostro?
E quando mai cagion più bella avrete,
Com’or, d’alzare al cielo il nome vostro?
Or v’addrizzate a lui, poi che in quest’ora
La salute di molti in voi dimora.
xlii
     Druschen tutto turbato gli risponde:
O de cantabri liti duce altero,
Costui Boorte appar, che non l’asconde
Il bianco scudo e ’l lucido cimiero
E ’l membruto corsier, che quanto inonde
Intorno il mar non ha di lui più fero;
Ma l’ho visto poi tal, ch’al parer mio
S’e’ non è Marte istesso, è qualche dio:
xliii
     Chè pur ora al destro omero il percosse,
Uscito di mia man, possente strale,
E ben meco pensai che morto fosse,
Perchè ’l colpo venia più che mortale;
Ma non fè l’arme pur di sangue rosse
Nè mostrò di sentir pur breve male,
Chè ’nmantenente con più acerba guerra
Il vid’io più che mai por gente a terra.
xliv
     Perchè fatto ho da poi perpetuo voto
Di non tirar più stral nè tender arco,
Che due volte oggi l’ho tentato a vòto,
E d’ogni effetto il ciel gli è stato parco:
In Gaven prima, ch’a non molti è noto
Perchè ’l colpo avventai d’ascoso varco,
Come novellamente ora in Boorte,
Con eguale in ciascun maligna sorte.
xlv
     E ben fu a me nemica e fera stella
Sotto cui presi l’arco al dipartire,
Quand’io sentì con semplice favella
Al vecchio Licaon mio padre dire:
’Monta, caro figliuol, sopra la sella
Poi che pur hai di guerra alto desire,
Chè ’l cavalier più gloria ha per un cento
Di quel che i colpi suoi commette al vento.
xlvi
     Poi sì gran torme di destrieri avemo
Di più illustre prosapia ch’oggi viva,
Ch’or lungo il Galdamoro, or lungo il Semo
Pascono in ozio l’una e l’altra riva,
Che d’ogni assalto e di periglio estremo
Ti porrian sempre trar sicuro a riva’.
Io non gli dèi credenza: or mi ripento,
E d’aver un cavallo avrei talento.
xlvii
     Verralto allor, perch’a caval si truova
E d’aver tal compagno anco desia,
Chiama Alan suo scudier, ch’a tutta pruova
Un de’ miglior gli doni ch’ivi avia.
Lo scudo e l’armadura indi ritruova,
Che s’adattò ben tosto, e poi s’invia
Con molti oltre e Druschen contro a Boorte,
Congiurati fra lor nella sua morte.
xlviii
     Ma Beven, che già scorge di lontano
Spronar verso il cugin la stretta schiera,
Dicea: Boorte, or si vedrà se ’n vano
V’ha lassata oggi il ciel la forza intera,
O se vi ritornò possente e sano
Per coronarvi ancor di palma vera
Sopra ogn’altro guerrier che d’arme carco
Brami a fin por l’affaticato Avarco.
xlix
     Risponde a lui Boorte: A quel che s’abbia
Di me disposto il ciel m’acqueto in pace:
Sì sper’io pur con lui l’iniqua rabbia
Oggi domar del popolo rapace,
E ’nsanguinar le dispietate labbia
Di Druscheno infedel, vano e fallace;
E ’l penso ritrovar ben tosto forse,
Se dentro Avarco per timor non corse.
l
     Così mentre dicea, spronando giunge
Il drappell’empio alla sua morte inteso,
E con dodici lance intorno il punge,
L’un doppo l’altro, con orribil peso.
Chi nello scudo, chi nell’elmo aggiunge,
Chi l’ha nel petto, chi nel fianco offeso;
Ei, qual robusta quercia resta in piede,
Ne’ primi colpi che ’l pastor le diede,
li
     Che ben crolla le frondi e i rami scuote,
Ma il sostegno maggior saldo dimora;
Il famoso guerriero a chi ’l percuote
Nella guisa medesma parve allora.
Chiamal Druscheno, e ’n minacciose note
Gli dice: Or si vedrà se ’l cielo ancora,
Come già vi scampò dal forte strale,
Or dalla lancia mia salvar vi vale;
lii
     O s’ordinato ha pur ch’oggi Boorte,
Che tra ’l più basso stuol sì ardito viene,
Debba in man di Druschen giugnere a morte
E dell’Euro arrossir le bianche arene:
Sì che ’l suo scudo e l’arme riporte
Là dove Licaòn lo scettro tiene,
Per appenderlo al tempio a gran memoria
Dell’avuta di lui chiara vittoria.