Vai al contenuto

Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/67

Da Wikisource.

xxv
     Ma il dritto par che voi debbiate ancora
Di me, com’io di voi, sentir la pruova.
E così detto, alla medesim’ora,
Con gran colpo la fronte gli ritruova,
Sì che ’l veder turbato gli dimora:
Ma la tempra dell’elmo in tanto giova
Chè non restò ferito, e ’nmantenente
Si rischiararo in lui gli occhi e la mente,
xxvi
     E ’ncominciò: Signor troppo ho sentito
Anch’io quel che potete, e non men pento:
Che ’l trovar voi di forze assai fornito
Accresce in me il desire e l’ardimento.
Donimi pure il Cielo in questo lito
Con voi morte o vittoria a suo talento:
Chè questa unica fia, quell’altra chiara
Da non aver di lei vita più cara.
xxvii
     In tai voci torna alla battaglia
E d’una punta il Gallo ripercuote:
Non nello scudo più, che quanto vaglia
Per le cose passate intender puote,
Ma in quelle ascose parti che la maglia
Difende sol, d’ogn’altro ferro vòte,
Di sotto al destro braccio, onde Boorte
In rischio esser potea d’acerba morte;
xxviii
     Se non che ammaestrato e dotto all’arte
L’ha con riguardo accorto preveduta,
E rivoltosi alquanto in altra parte
Nel bene armato petto gli è caduta.
Duolsi il Pannonio allor del crudo Marte,
E d’esser più de’ suoi quasi refuta
Dicendo: Or se così mi tòi gli allori
Che poss’io più sperar de’ tuoi tesori?
xxix
     E mentre che ’n suo cor difoga l’ira
Il cavalier di Gave il brando pone
Sopra il suo scudo, e mezzo in basso il tira
E d’accrescer dolor gli dà cagione.
Rossan, ch’al vendicarse sol rimira
E ch’usa più il furor che la ragione,
Con sì gran colpi l’avversario assale
Che truova al suo desio la spada frale;
xxx
     Perch’or mentre il bracciale indarno offende,
Or dell’elmo famoso il ferro invitto,
In due parti troncata a terra scende,
Lassando il suo signor nudo ed afflitto.
Il cortese Boorte il tempo prende
Di mostrar ch’amò sol l’onore e ’l dritto,
E dal scudier Toante a lui vicino
Si fece un brando dar sicuro e fino:
xxxi
     Ch’ove la Calidonia al mare Scoto
Le selvaggie sue chiome in alto spande
Guadagnò allor ch’ei fè di spirto vòto
Con tal virtù Chersidamante il grande,
Ch’ivi arrivato di terreno ignoto
Si fèa de’ prigionier crude vivande;
E quello appresso in ogni parte avìa
Per usare al bisogno, s’avvenìa.
xxxii
     Or questo all’avversario suo Rossano,
Che ’n tale stato ancor fuggir non vuole,
Con allegro sembiante ha posto in mano
E ’l conforta da poi con tai parole:
La fortuna a ’l valor, ch’è a lei sovrano,
In ogni opra mortal contrastar suole,
E per seguir con voi l’usata strada
V’ha troncata così la forte spada.
xxxiii
     Ma non fia della vostra a peggior molto
Questa di cui vi fò cortese dono:
E perchè il vostro onor non vi sia tolto
A nuova altra battaglia presto sono.
Il selvaggio Pannonio in lieto volto
Risponde: Il brando mio vie più che buono
Mi fè intero acquistar sovente palma
E troncandosi poi, più dolce salma;
xxxiv
     Send’ei cagion ch’or mi sia fatto amico
Il maggior cavalier che lancia porte:
Nè cosa oscura o ver novella dico,
Ch’a tutto il mondo omai chiaro è Boorte.
Ricevo il don, ma non come nemico
Cercherò mai per lui la vostra morte;
Ma da qui innanzi quello e chi ’l sostiene
Sarà in vostra salute, e ’n vostro bene:
xxxv
     Ch’io non vorrei però che voi credeste,
Vedendo com’io vò negletto e vile,
Che tutto eguale il cor fosse alle veste,
Ben che men del dever chiaro e gentile;
O che ’ntra le Pannoniche foreste
Mai non surgesse oltr’all’usato stile
Per fiso riguardar vista possente
Della vera virtù la fiamma ardente.
xxxvi
     E se non vi fusse altra, è pur la mia,
Che la somma ch’è in voi chiara discerne:
A cui supplico il ciel che largo dia
Tutto il favor delle sue luci eterne;
Ed io per ogni sorte o buona o ria
Delle forze di fuor, dell’altre interne,
Quantunque nulla sia, per quel ch’ei merta
Vi fò con tutto il cor divota offerta.
xxxvii
     Ma in questo ragionar vicin si vede
Con le spiegate squadre Segurano,
Che con arte e con senno a’ suoi provvede,
Che con vantaggio poi muovan la mano.
Ei con pochi guerrier, con lento piede,
Innanzi a gli altri va poco lontano
Con l’arme lucentissima che splende
Qual Febo suol ch’a mezzo giorno ascende.
xxxviii
     Mostrasi in alto ancor l’aurato scudo
Che ’l bel raggio solar saetta intorno,
Ov’è il nero dragon che in atto crudo
Par minacce a’ nemici oltraggio e scorno;
Così il cimiero, ove Nettunno ignudo
Col suo tridente in man si mostra adorno,
Però ch’avea del suo terreno Iberno
Sotto a tal deïtà posto il governo.