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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/82

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CANTO IX

ARGOMENTO

      Chiama Albina e Claudiana le matrone
A porger voti a Palla, e incensi e voti,
Onde protegga nella ria tenzone
E padri, e sposi, e fratelli, e nepoti.
Clodasso pure invoca protezione
Dal Dio delle battaglie, e con devoti
Sensi al suo tempio con le spoglie ascende
Vinte da lui, e in voto ivi le appende.

i
L’alte donne reali sbigottite
Con gli occhi verso quei restano in piede,
Così languide, afflitte e scolorite
Che più lieta di lor morte si vede:
Simili a meste imagini scolpite
Presso a marmorea tomba in fredda sede;
Sol del pio lagrimare i larghi rivi
Mostran che i sensi pur rimaser vivi.
ii
     Poi che più non poteo seguir la vista
De i due gran cavalieri i pronti passi
Comincia Albina dolorosa e trista
Da muovere a pietà le selve e i sassi:
Almo lucente sol, se mercè acquista
Il divoto pregar di spirti lassi,
Spiega in noi sì felici i raggi adorni
Che la coppia ch’or va lieta ritorni.
iii
     Indi volge il parlare a Claudïana:
Tempo e’ di visitar, cara figliuola,
Il tempio sacro della dea sovrana
Che di saggezza e d’arme ha il pregio sola:
Che nacque senza madre, e non e’ vana
L’antica fama che nel mondo vola,
Della fronte santissima di Giove
Che l’eterno e ’l mortal contempra e muove;
iv
     La qual mille fiate ha preso in grado
L’umil preghiere mie ne i passati anni,
E secur m’ha mostrato e piano il guado
Per cui molti schivai perigli e danni:
Sì ch’io porto credenza che in tal grado,
In fra tante paure e tanti affanni,
Non debba abbandonar chi a lei ricorre
E che suol tutta in lei sua speme porre.
v
     Ma perch’al cor divoto si conviene
Adornare i pensier di qualche offerta,
Cercherem pria l’albergo che contiene
La donnesca ricchezza altrui coverta.
Indi trarrem ciò che più in cor ne viene
Che più possa spiegarla voglia aperta
Che d’onorarla avemo, e con qualch’opra
Aprire il buon voler che questo adopra.
vi
     E per meglio adempir nostro desio
Farem tutte appellar l’altre matrone
Che di sangue più illustre e di cor pio
Aggian di noi seguir dritta cagione;
Con quelle che ’l timore e ’l tempo rio
N’han poi condotte d’altra regione,
Non nodrite in Avarco, e ch’han seguito
Chi ’l parente, chi ’l figlio e chi ’l marito.
vii
     Ma innanzi che ciò farse, e’ ben richiesto
Scoprire il tutto al mio reale sposo,
Ch’ogni principio ha il fine agro e funesto
S’a chi dee comandar venisse ascoso.
Così vanno a Clodasso, a cui molesto
Non fu il lor disegnar giusto e pietoso,
Dicendo: E doppo voi verso il mio Marte
Farò il medesmo anch’io dall’altra parte,
viii
     Però che in ogni tempo e in ogni loco
Si deveno onorar lassservitù gli dei
Nè il lor sommo poder recarse in gioco
Come sovente fan gli stolti e i rei,
Che stiman che ’l temergli o nulla o poco
Sia grandezza di cor che chiuda in lei
Proprio verace ardire e gran valore,
E ’l conoscer d’altrui lo sciocco errore.
ix
     Gitene avanti pur, che poco appresso
Seguirò ’l vostro andar nel proprio effetto.
Poi fece a sè venir, che gli eran presso,
Il fedel Anfione e Polidetto,
Tra i suoi più cari araldi, e di cui spesso
Avea sentito l’amoroso affetto;
Poi dice al primo: Andrete alla cittade,
In quante ivi saran case e contrade,
x
     E direte a ciascun di sangue chiaro
Che l’età fanciullesca aggia varcata
Ch’a gran pubblico ben, per quanto ha caro
Di far cosa per me gioconda e grata,
In abito sembiante al tempo amaro
E ’n vista di dolore accompagnata,
Dov’io gli attenderò, nella mia sede
Con sollecito passo addrizze il piede: