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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/89

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     Pur doppo assai parlar col re Vagorre
E con gli altri suoi tre che con lui sono,
Dispone al fin che sia ragion di porre
All’imagin di Marte il terzo dono,
E che d’essi il primier si debba tòrre
Quel che diede il principio all’alto suono
Del suo giovin valor, nel primo giorno
Che ’n guerra uscisse mai dell’arme adorno;
xcvi
     Fosse il secondo poi quel ch’all’etade
Più perfetta gli venne, e fu il maggiore,
Allor ch’ei non tenea di mille spade
Che intorno avesse il periglioso orrore;
L’ultimo quel ch’all’onorate strade
Trovò l’albergo quando imbrunan l’ore
Verso il torbido occaso, ove il noioso
Già passato cammin chiede riposo.
xcvii
     Così prender comanda di Tarsano
L’acquistate da lui reali spoglie
Allor che il vecchio vandalo Marano
Giovinetto il nutria fra le sue soglie.
Venne costui dentro al terreno ispano
Seguendo d’Urien l’altere voglie,
Il fero Alan ch’al regno suo Numido
Volea giunger ancor d’Iberia il lido;
xcviii
     E ’l dì che trasse a fin la lunga guerra
E privò gli Affrican d’ogni altra speme
Stese morto Tarsan sopra la terra
Di Clodasso la man che nulla teme:
Tal che ’n tutto il paese che si serra
In tra ’l Tago e ’l Duero e l’onde estreme
Del Lusitanio mar ne corse il nome,
E di lauro gli ornò le bionde chiome.
xcix
     Or tolse di costui la spoglia opima,
Che ’l forte scudo avea di color perso,
Nel cui piegato sen verso la cima
Una falce splendea d’argento terso:
Sott’essa eguale a lei ruvida lima
D’una dorata incude era al traverso,
Che ’l seggio tien sopr’arido terreno
Di secca erba segata intorno pieno.
c
     Fu ’l secondo suo don d’Eliadello
Re dei Nortombri allor l’arme e l’insegna,
Ch’ei vinse e spense al nobile duello
Ove ’l fertil terren Garona segna
Quando ’l popol miglior fatto rubello
Per dovuta cagion di lode degna
S’armò contra il Rosmundo visigoto
Di pietà insieme e di giustizia vòto:
ci
     Chè Clodasso di lui venne in aita,
E dell’afflitto stuol fu l’altro duce.
Un grande scoglio avea di calamita,
Che ’l ferro di lontano a sè conduce,
L’insegna, alla sembianza colorita
Del più tranquillo mare ove il sol luce:
D’oscura tempra e d’alleggrezza ignudo
Splendea d’ardente folgore lo scudo.
cii
     Fur quelle d’Escanor della Montagna
Per offrir al gran dio l’ultime spoglie,
Ch’al santonico lito, ove ’l mar bagna,
Di Clodasso assalìo le patrie soglie
Già nel tempo canuto ove accompagna
La mente il senno, e ch’alle membra toglie
Il già stanco vigor, non però tanto
Che del primiero ancor non resti alquanto:
ciii
     Come avvenne al gran re, cui già vicina
Co’ gravosi suo’ incarchi la vecchiezza
Non fu tal sopra lui donna e regina
Che ’l dispogliasse ancor d’ogni fortezza;
Ond’ei sospinge all’ultima rovina
Il giovine Escanor che non l’apprezza,
E con quel brando il pose morto a terra
Che mai più doppo il dì non strinse in guerra.
civ
     Del grave scudo suo, che candid’era,
Un nero crocodillo il mezzo imbruna.
Chiudeva in sen la verde sua bandiera
Sopra squarciate ruote la fortuna:
Dietro e davanti una celeste spera
Ove oscurare il sol facea la luna;
Nelle spalle e nel petto avea l’arnese
In tra picciole stelle in giro accese.
cv
     Doppo questi tre don, di fino acciaro
E di ferro novel peso infinito,
Che di quanto mai fu più illustre e chiaro
Avea fatto venir di più d’un lito,
Come al possente Marte amato e caro
E più ch’argento ed or da lui gradito,
Sopra possenti carri ordine diede
Che seguisser di lui l’elette prede,
cvi
     Con cinque alti corsier ch’aveano il pelo
Del vello del lion più oscuro alquanto,
Nati e nodriti sotto al tracio cielo
Che ’l valor marziale onorò tanto,
E ch’avean di Strimon bevuto il gielo
Ove de’ suoi fratelli ha Borea il vanto.
Poi che tutto è disposto, esso s’invia
Con l’onorata e nobil compagnia,
cvii
     Perchè tutte già intorno eran ripiene
D’antichi cavalier le altere soglie,
Chè ciascun quanto può veloce viene
Divoto in adempir le regie voglie.
Passa innanzi la turba che sostiene
Con sollevata man le offerte spoglie;
Dietro lor segue poi la lunga schiera
Dell’eletto drappel che venut’era.
cviii
     Doppo gli ultimi tutti è il re Coldasso,
Tra ’l domestico stuol di ferro avvolto;
E ’n vista di dolor movendo il passo,
Reverendo il facea l’abito incolto.
Or torna or va chi fa largare il passo
Del riguardante popolo ivi accolto.
Poi che giungon del tempio alla gran porta,
Il piè ferma ciascun che i doni apporta;