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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/91

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CANTO X

ARGOMENTO

      In sul campo al venir di Segurano
Si rinnova la pugna orrida e fera:
Ma poi che il vincer gli tornava invano
Sfida il più forte dell’avversa schiera:
Gli si fa incontro il giovane Tristano,
E combatte con lui fino alla sera:
Nè vincente, nè vinto è del rivale.
Quei gli dà il cinto, ed egli a lui il pugnale.

i
Il fero Seguran con ratto piede,
Poi che col suo Clodino era arrivato
Ove ’l famoso Arturo in larghe prede
Ha condotto Brunoro in basso stato,
Al bisogno ch’avvien tosto provvede;
Riconforta e rispinge in ciascun lato
Quei ch’ei veda fuggirse, e ’n dolci modi
A chi gli altri sostien dà larghe lodi.
ii
     Il medesmo Clodin di far non resta,
Rivolgendo il caval per ogni parte:
Questi innanzi ricaccia e quelli arresta,
E che si spieghi egual l’ordin comparte.
Già rasserena il cor la gente mesta,
E le riveste il sen desio di Marte;
Già il partito valor tornato addoppia
Al bramato arrivar di questa coppia:
iii
     Nè più dolce di quella apparir suole
A i già lassi nocchier l’aura soave,
Ch’han co i nodosi remi, al caldo sole,
Lungamente sospinto il legno grave.
Già della fuga sua si scusa e duole
Questo e quel cavalier, che l’onta pave;
Ogn’uom purga se stesso e gli altri imbruna,
Poi tutti insieme al fin la ria fortuna.
iv
     Ma il chiaro Seguran tutto consente,
Ogni detto conferma e nullo ascolta:
Chè in altra parte l’occupata mente
Contra i crudi nemici avea rivolta.
Poi sprona il buon destrier dove la gente
Vede più in arme lucida e più folta,
E tosto giunge ov’il suo fato reo
Gli fa incontra venire Itimoneo,
v
     Che Rifeo sacro della bella Acesta
Ebbe di Somma in su l’erbosa riva.
Ferì l’asta al traverso della testa
La destra tempia, e della vita il priva.
Clodin, poi ch’ei partì, saldo non resta,
Ma vicin quanto può sempre veniva,
E quasi a un tempo stesso seco uccide,
Trapassandogli il cor, l’altero Ifide,
vi
     Che di Alastore il biondo era figliuolo,
Ove il Belgico sen la Schelda bagna.
E Brunor, che da i due va dietro al volo,
Di questa vita Andremone scompagna
D’Eficle uscito, e ch’ebbe il natio suolo
Ove ’l Neustrio terren vede Brettagna:
E ’l passò con la lancia ove la gola
Dona vicin gli spirti alla parola.
vii
     Il gran Nero perduto, che non lunge
Segue i passi di quei, truova Ippione,
E nella terza costa a destra il punge
E qual ramo abbattuto a terra il pone
Ch’accusava ’l destin ch’ivi il disgiunge
Dalla sua chiara e nobil regione
Della ricca Lutezia, ove la Sena
D’antichi onori e di moderni e’ piena.
viii
     Il Selvaggio Rossan nel lato manco,
Ove il loco riman d’ogni osso ignudo,
Del possente Aretoo trapassò il fianco,
Che no ’l potè salvar l’eletto scudo.
Cadde ivi il miserel languido e bianco,
Nè si mosse a pietà ’l suo fato crudo
Della sposa infelice Artenopea
Che ’ntra i Morini indarno l’attendea.
ix
     Doppo costui Grifon dell’Alto Passo
Incontrò ’l grande Armorico Falcete,
Nato non lunge all’Era, dove in basso
Al suo padre ocean tragge la sete:
E d’un colpo nel cor di vita casso
Nel legno il pose del nocchier di Lete.
Così d’Avarco l’abbattuta schiera
Ritorna or più che mai feroce e ’ntera.
x
     Ma non cede però dall’altra parte
D’un passo indietro il glorioso Arturo,
Che col medesmo ardir, con l’istessa arte
Come al suo incominciar resta sicuro
Sostenendo il furor del nuovo Marte
Come d’un picciol rio possente muro;
E volge il suo potere in ciascun loco
Ove senta il bisogno o molto o poco.