Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/33

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Di monte in monte lo distenda in basso,
Perch’il fetido odor più passe addentro;
E ciò far si convien qualor più fugga
Delia dal suo fratel, crescendo il lume.
E sappia pur ciascun, che l’erbe e i fieni
105Son che fan ricche le campagne e i colli;
E chi nol pensa, al primo verno scorge
Stanco e ’nfermo giacer l’amato tauro,
Che fra le nevi e ’l ciel vagando il giorno
Non può tanto trovar di frondi e giunchi
110Ch’in vita il tenga, e poi la notte vede,
Colpa del suo signor, la mandra nuda;
E tal in breve andar magrezza sente,
Ch’in piè sta appena, e tra ’l digiuno e ’l freddo
Non ha spazio a veder distrutto il ghiaccio.
115Il misero bifolco al tempo eletto,
Tardi avveduto, lagrimando mira
L’altrui campo vicin solcato e lieto,
Il suo vedovo e sol; l’aratro e ’l giogo
Starsi, lassi! lontan negletti e sparti:
120Né può trovar alcun, per preghi o pianti,
Che del giovenco suo gli sia cortese;
Ché chi ’l seppe nodrir, per sé l’adopra

Quinci i prati lassando, a i campi e i colli
Rivolga il passo; e sotto il fascio antico
125Il mansueto bue riponga il collo;
E già senta il terren (ché n’è ben tempo)