Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/45

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Già si sente chiamar consorte e madre;
425Né i miseri figliuoi, pasciuti un tempo
Pur largamente nel paterno ostello,
E di quel sol che nei suoi campi accolse
Dolci nativi, in tenerella etade
Di peregrin maestro empio flagello
430Sentir, la madre pia chiamando indarno,
Alle fonti menando, ai verdi prati
Le non sue gregge; e le cipolle e l’erba,
Lassi! mangiar, vedendo in mano ai figli
Del suo nuovo signor formaggio e latte:
435Siccome oggi addivien tra i colli toschi
Dei miseri cultor, non già lor colpa,
Ma dell’ira civil, di chi l’indusse
A guastar il più bel ch’Italia avesse.

Or chi vuol, nell’età canuta e stanca,
440Di pigra povertà non esser preda,
E poter la famiglia aver d’intorno
Lieta, e la mensa di vivande carca,
E far aschio al vicin, non pur pietade;
Nella nuova stagion non segga in vano:
445Ch’or rinnuovi, or rivesta, or pianti, or cangi,
Pur secondo il bisogno, or vigne, or frutti.

Son mille i modi che natura impose
Di crearse alle piante; onde si vede,
Senza cura d’altrui, che per sé stesse
450Ne nascon molte che fanno ombra verde