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ria più che lo stomaco d’acquavite? E chi l’avrebbe voluto a servire in casa con quella tara che portava addosso da vent’anni? E chi gli avrebbe fatta volontieri l’elemosina, a un uomo che non era vecchio, e, quando poteva, si ubriacava?

O comperare un’altra bestia per la biroccia, o morir di fame. Questa la conclusione.

Ma se questa, di un altr’asino, era la sola speranza, bisognava persuaderne il mondo e dire: — O voi che potete mi aiutate, o io mi lascio morir di fame qui dove sono, con l’asino. Sissignori! E mantengo!

Veramente nell’opinione pubblica Sugnazza godeva stima di essere risoluto. Non per altro che per il modo con cui la vinceva sul suo compagno di sventura aveva suscitata sempre l’ilarità e, perchè no?, la simpatia dei compaesani.

Povera bestia!; più povera forse sotto la biroccia scarica che sotto il carico. Allorchè il padrone, dalla biroccia, s’ergeva a sostener la corsa per la maggior via del paese, l’asino dava uno spettacolo di pazienza e di sofferenza così sproporzionate da divertire anche la gente seria.

Al grido annunziatore della tempesta incurvava il dorso quasi per offrir più alto il campo al randello e uscir tosto di pena; te-