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176 | il diavolo nell'ampolla |
sato nel cuore e nel petto, bruciato dall’acquavite; moriva d’inedia. E per lui!
Un breve amore; l’invidia che la donna sposasse l’altro; la gelosia e la provocazione dell’altro; la lite e la ferita — da niente — una scalfittura seguìta dall’infezione per cui all’altro — il Biondino — s’era dovuto amputare il braccio; e il processo; e la condanna; ecco ciò che era avvenuto in gioventù ad Andrea Porta non ancora detto Sugnazza; ecco come l’odio aveva per venti anni avvelenato due esistenze; ecco perchè il vinto or vagellava in una torbida, turbinosa tristezza, in un’insania spaventosa, mentre l’imagine dell’odio, del Biondino poi detto il Monco, gli diceva ghignando: — Muori?
Ed egli, il vinto, ora per la prima volta si sentiva l’anima. Ondeggiava così leggera, così desiderosa di luce e di quiete! Per vedere se fuori di lui, nel mondo silenzioso, fosse già buio, Sugnazza si voltò supino, con fatica estrema. Quante stelle! E chiuse gli occhi senza più rivoltarsi, come alla rivelazione di una cosa orribile. Tanto bello era il cielo! e il mondo....
Nessuno aveva avuto compassione di lui che moriva. Nessuno! Nessuno!