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Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/211

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la fortuna di un uomo 197


Nè del Monarchi si discorse mai più; nè più lo rividero, tranne, da lungi, due o tre sere a teatro.... A teatro?

Sì, Erminia ebbe all’improvviso questa nuova smania, una nuova pazzia! Convinta che per essere notati a Milano bisognava spendere, si mise a spendere e a spandere rovinosamente in gioielli e abiti; e dal suo palco pretendeva insegnar «il buon gusto nella moda» alle milanesi! «Non basta seguire la moda!» diceva.

Come il marito l’ammonì che non erano abbastanza ricchi da impartire cotesto insegnamento, ella gli si scagliò contro:

— Perchè mi hai sposata, se non puoi mantenermi? Dov’è la mia dote? Quando, con chi l’hai consumata? — E così via, fino a giungere allo svenimento e alle convulsioni.

C’era da temere si rinnovassero anche le invocazioni di «Enrico! Enrico!» e le pratiche spiritiche. Per evitar tutto ciò Gaspare lasciò dunque correre, rassegnato alla rovina. «Qualche santo — pensava — mi aiuterà».

E infatti un bel giorno Erminia si disse stanca; desiderosa di quiete e di solitudine. Un santo era intervenuto.

Ma troppa grazia! Perchè essa cominciò anche a meditare il suicidio; e lo diceva. Che giorni per un marito di cuore e di coscienza! Mentre a casa attendeva quali ore di tregua le ore dell’ufficio, all’ufficio, lui, il povero marito, dubi-