Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/238

Da Wikisource.
224 il polso

cedeva; s’ingarbugliava in nuove ipotesi; s’imbrogliava in nuovi dubbi. Infine, s’appigliò a chi gli capitò dinanzi al pensiero:

— Il duchino, eh?, il duchino sdilinquisce per l’Arboldi; sdilinquiscono tutt’e due, il duchino e vostro marito.

Oh Dio! gli era parso che il polso affrettasse; gli era parso; ma non era possibile che il sangue di una dama come la marchesa Arnisio si commovesse al ricordo di un vagheggino quasi adolescente! Per altro, la marchesa era così strana....

— Io credo — riprese egli — che l’Arboldi non preferirà quel bamboccio a un cavaliere qual è vostro marito. — Non c’era più dubbio! La marchesa amava il duchino; amava — strana donna! — il frutto acerbo!; il polso che aveva confessato era lì pronto a ripetere la confessione. Il duchino! Per prima vendetta il conte volle discorrere e burlarsi di lui affinchè, magari, la capricciosa dama arrabbiasse o magari, piangesse, svenisse. Ma il sangue nell’arteria rifluì placido ed uguale.... E solo allora, trasecolando, La Fratta ebbe un’idea, un lampo, quasi un fulmine: — il marito?... — Parlò del marito.

E nessun dubbio: a parlare del marito e dell’Arboldi il polso precipitava, martellava, scottava! Come scottato, il conte abbandonò il braccio della dama e balzò in piedi. Stupito, stordito, non sapeva più che si dicesse. Diceva: