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in arcadia 273

e pioppi il rio va a cadere nell’Idice, che ai dì sereni si distende in nitido e obliquo letto per la plaga occidentale, alla pianura.

Di forestieri a Rioronco non capitano che i carabinieri, a quando a quando, o, pur troppo, il cursore del comune. La scuola è distante e fuori della strada nuova. Un giornale vecchio d’un anno, se pervenga a chi sa leggere, è un foglio pieno di meravigliose novità.

Anche, a pochi passi dalla chiesa, un’osteria serve da spaccio d’ogni genere; fin di sigari toscani, i quali, stagionati come sono, mitigherebbero il più fiero nemico della «Regia Privativa.»

Ma oltre questi benefizi, e oltre i bei castagneti che, se non ci si metta la malattia della foglia, producono assai, e le belle vigne, che, se non le guastano malanni delle foglie e del grappolo, producono assai; oltre la terra fertile di formentone e di meliga, il rio Rosso ha per i più poveri qualche pesce e molti gamberi; qualche anguilla e tanti ranocchi!

I ranocchi si prendono la notte con la «facella»; ciò è un pugno di canne le quali, accese, bruciano adagio e alla cui fiamma quelle curiose bestiole si destano, espongono a fior d’acqua e di fra le alighe il capo stupefatto, e restano immote, fisse, incredule ai loro stessi occhi, non si sa bene di che cosa. Forse scambiano quella luce con l’aurora, o credono a qualche scientifica scoperta degli uomini; il fatto sta, che nel-