Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/303

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in arcadia 289


Tacquero. Poi zitti e cheti ripresero le carte e giocarono.

....Ogni giorno, dopo la partita, Carlone accompagnava il prete fino alla siepe; quel dì l’accompagnò oltre la siepe, per il sentiero. Intanto che andavano, l’uno aspettava che l’altro parlasse; e pensavano entrambi: «Tocca a lui a tornare nel discorso.» E finalmente Carlone si fermò.

— Ci rivedremo, signor curato. — La sua voce pareva di pentimento.

— Addio — rispose duro il prete.

— E si ricordi — il vecchio aggiunse più forte: — si ricordi di quel che ho detto.

Ma il prete si rivolse:

— Oh quanto a quello, voi ubbidirete al vostro curato; si sa....

Allora il vecchio venendo a lui e tenendolo per un braccio, eppoi ponendosi la mano al petto:

— Il mio dovere, sissignore, son qui a riconoscerlo! Nelle cose giuste io a lei mi caverò sempre il cappello! — e se lo levava. — Ma se lei si mette a gloriare i birboni, signor curato, mi creda, non c’intenderemo più!

— I birboni? — il curato esclamò. — Già: chi non fa a vostro modo è un birbone! Ma, in fin dei conti, chi siete voi che vorreste stare di sopra alle leggi? di sopra ai superiori? di sopra a tutti? fare sempre a vostro modo? e