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NELLA ROMAGNA D’UNA VOLTA

A ricevere la seconda lettera con cui, goffamente, Nino Galastri le chiedeva di sposarla, Livia perdè la pazienza e rispose un semplice no. Inesperta, com’era, del mondo, non riflettè ai diversi gradi di tono e di significato che, sino alla ripulsa oltraggiosa, può assumere un no scritto; castigando una indiscreta vanità, non ebbe il dubbio di offendere l’orgoglio paesano, il quale, ferito, ferisce col morso e il veleno della vipera; e conoscendo la fierezza del nonno, non domo dagli anni, dubitò invece di far male a rivelar la cosa a lui. Nè la vendetta tardò a giungerle: terribile perchè l’armava la pubblica malignità, perchè la sosteneva un’accusa copertamente diffusa e inoppugnabile, perchè disonorava il suo nome.

Già delusa nella felicità quale aveva immaginato trovar fuori del collegio e predisposta alla solitudine, più che dalla sensibilità materna e dalla sventurata condizione di orfana, dal rude costume della razza da cui scendeva, Livia Antoni ricorse col pensiero e con l’anima al luogo dove era cresciuta, in una clausura quasi monacale, e presentì