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libro secondo 87

Scipione la sua grazia populare, furono capitale e ultimo periculo. Constituta legge della fortuna pervertere ogni dì nuove cose. Né debbasi uno e un altro maravigliare se ella seco usa sua innata perfidia. La famiglia de’ Fabii nobilissima da tanto numero, da uomini trecento in un dì fu ridutta a un solo. Macedonia, provincia gloriosa, quale ebbe imperio in Asia, Armenia, Iberia, Albania, Capadocia, Siria, Egitto, provincie amplissime, ricchissime, potentissime, quale ancora vincendo superò ultimi monti Tauro e Caucaso, quale impose sue leggi a nazione e gente estremissime, Battri, Medi, Persi, e quasi a tutto l’oriente, quale se facea ben riverire e ubbidire sino entro alla India terre luntanissime, costei cadde in calamità e giuoco della fortuna. In uno dì Paulo Emilio, duttore degli esserciti romani, vendette a servitù città macedoniche trionfali numero settanta e due. Adunque, non iniuria, dicea Ovidio poeta:

con ambigui passi la fortuna erra,
né segue certa in alcun luogo [mai],
ma or si porge lieta e ora acerba.
Solo una legge serba in esser lieve.

Ma di questa inconstanza non aremo tanto da biasimarne la fortuna, quanto in prima la nostra stoltizia, quali mai contenti delle cose presenti, sempre suspesi a varie espettazioni, vorremo pari alli dii essere beati. Negava Euripide ad altri che solo alli dii essere concesso durare in perpetua felicità contenti. Affermano e’ fisici, e in prima Ippocrate, essere a’ corpi umani ascritta vicissitudine, che o crescano continuo o scemino: quello che tra questi due sia in mezzo, dicono trovarsi brevissimo. Così e molto più a tutte l’altre cose mortali certo vediamo essere fatale e ascritto ordine dalla natura che sempre stiano in moto, e in difforme successo vediamo e’ cieli continuo innovare sua varietà. Affermava Platone, comune sentenza di tutti e’ matematici, non prima con sue stelle tornare in simile sito el cielo, che agiratosi per infiniti avolgimenti anni numero sei e trenta migliara; né però si potrà quell’ora dire simile a questa qual sia più pressa alla fine, più lungi dal principio del mondo. Vedi la terra ora vestita di fiori, ora grave di pomi e frutti, ora nuda senza sue fronde e chiome, ora squallida e orrida pe’