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350 cena familiaris

che tu dici? Che può uno buono mutare di sé, se non in peggio?

Battista. Secondo il fine che tu proponi, almeno fia mutabile la volontà, non da bene a male, ma da soffrire piuttosto incomodo che turpitudine. Io persuasi a me già più tempo, che invero a’ buoni nulla possa nuocere se non tanto quanto diventassino meno buoni. Più ferma e certa cosa ène la salvezza che porge Idio a’ buoni, che non sono gli odii fra quegli che tu racontavi. Ma torniamo onde facemmo digressione. Dicesti, Matteo, che l’uso de’ nostri familiari insieme con carità fu gran cagione a fargli pregiare; così pare anche a noi, se già qui Francesco non fussi in altra sentenza.

Francesco. A me pare il simile, ma sopratutto e’ buoni costumi acquistarono loro molta grazia. Io posso affermare questo; mai fu famiglia in questa nostra città più costumata, e forse per questo in prima fu ben voluta e nominata.

Matteo. Ben dici il vero, ed è così, e dobbiancene gloriare e proporci d’essere simili a loro. Che direte? Era per Italia ridutto in proverbio; quando voleano approvare in alcuno la molta umanità e prestanza de’ lodatissimi costumi, diceano: "costui è tale come se fussi nato e allevato fra gli Alberti".

Battista. E merito. In prima furono e’ nostri osservantissimi della religione e reverentissimi a’ loro maggiori.

Francesco. Per confirmare el ditto tuo, Altobianco mio padre spesso mi referiva che per darsi quanto e’ doveva simile a’ sua maggiori, mai volle essere veduto sedere in publico presente messer Antonio cavaliere suo fratello e gli altri, dei quali uno è qui dottore e nel numero de’ cherici con offizii publici in degnità non ultimo; mai presente, non dico alcuno padre e capo di famiglia, ma più, presente Lionardo, o Benedetto suo fratello consubrino per età maggiore, mai fu veduto asedersi. E così noi tutti sempre rendemmo reverenza a’ maggiori come a’ padri, e così loro amorono sempre noi come figliuoli.

Battista. Qualunque non inetto sia e bene allevato,