Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/359

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cena familiaris 353

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Matteo. Ben dici. Adonque rispondo, non lo pigliarei

Battista. Perché no? E poi aresti e’ miei e insieme aresti e’ tuoi.

Matteo. Anzi, tu aresti le tue picchiate e io le mie. E chi mi sicura che io torni sanza perdita, nonché con guadagno?

Battista. Prudente risposta, e se vi penseremo, troveremo che ’l giuoco, simile a uno di quelle furie poetiche, ancora incende furore in chi se gli dia. E parvi poco furore? Giuocano dove a caso soviene loro, spesso su qualche desco sordido e puzzulente, in luogo alioquin frequentato, né si curano essere veduti e biasimati da molti. E’ primi furono certi ribaldi: concorsevi numero di vilissimi mercennarii: questo nostro omo da bene, nato per essere ornamento della patria, ma per corruttela degli scelerati disviato e dedicato al giuoco, subito dimentica sé stessi, e vinto e tratto dalla miseria sua, non si può contenere, mescolasi in quel fastidio: surgonvi altercazioni, vedesi da lunge el tumulto, odonsi voci e parole pazze, odiose, bruttissime: concorre la plebe e biasima chi più erra, e sempre da’ savii e da e’ men savii per più rispetti in quella colluvie sarà più vituperato chi fia per el nome de’ suoi meno degno d’essere veduto in tale errore fra loro. Aggiugni che dal ponte e dal furioso si partiranno subito che vederanno el suo male. Questo giucatore mai si parte dal giuoco se non ultimo superato, e partirassi forse dal ponte colui coll’occhio enfiato e livido, colla bocca e denti, colla gota e orecchi stracciata, col petto tutto percosso, cose, non nego, dannose maisì al corpo; ma pel giuoco la parte in noi più da curarla molto più patisce; perduta la recognizione del debito suo, non cura sé stessi, sotterrasi nel vituperio, non vedendo quel che ne seguiti a quella brutezza, ma tumido di cupidità, livido de invidia e concusso qui e qui da varie essagitazioni d’animo, ora per ricuperare quello che è perduto, ora per acrescere la vincita, - che posso io dire altro? - arabbia, e così come prima precipitò sé stessi in questo male, così doppo la calamità senza niuno utile urta sé stessi con acerbissimo pentimento.