Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/466

Da Wikisource.
460 nota sulla grafia

valida quanto più si accostasse al latino. Purtroppo il materiale autografo albertiano è relativamente scarso. Nessuno dei testi in prosa di questo volume (e neanche del secondo che seguirà) si è potuto fondare su codici scritti dall’autore; e abbiamo nelle correzioni autografe fatte sul cod. F1 e in alcune poche lettere sue, elementi sufficienti per stabilire soltanto in parte le sue abitudini di scrittore1. Mentre questi elementi valgono ad assicurarci del carattere prevalentemente latineggiante della sua scrittura, e ci confortano ad accettare quella dei codici coevi adoperati per la nostra edizione come rappresentazione abbastanza fedele delle consuetudini grafiche, nonché linguistiche, dell’Alberti, la mancanza di codici intieramente autografi, le esigenze della collana e un riguardo alla comodità del lettore moderno, ci hanno indotti ad aderire, in linea di massima, alla tradizione invalsa dopo il Barbi, di risolvere, cioè, il problema grafico sul piano del rapporto grafìa-suono2. Tali considerazioni tanto più pesano in quanto sono accolte nella nostra edizione opere di vario genere e di tradizione manoscritta diversa.

Pur credendo, dunque, alla forte probabilità che l’Alberti non fosse indifferente agli aspetti visuali della grafia, abbiamo creduto doveroso abbandonarli in questa edizione, e cercare una soluzione al problema grafico valida per tutte le sue opere volgari3.

Premesso questo, diamo ragione qui sotto del procedimento da noi seguito per i testi del presente volume. Ci siamo limitati ai seguenti interventi sulla grafìa dei codici. Abbiamo:


I. distinto l’u dal v (distinzione auspicata per primo dall’A. stesso).


II. tolto l’h, sia etimologica che no, in tutti i casi ove la grafia moderna non la conserva. Nei codd. abbonda l’uso delll’ h con c e g seguiti da a, o, u (tipo chura, chadere, seghuito, lungho, ecc.) comune negli autogr., e vi figura anche qualche esempio abusivo come habundante.

In alcune parole conserviamo le vocali in iato conseguenti alla caduta dell’h: veemente, appreende, compreende, che coesistono con apprende,

  1. Vedi il mio art. già cit. in «Lingua Nostra», XVI, 1955, pp. 105-10.
  2. Mi riferisco, naturalmente, alla magistrale ed. del Barbi della Vita Nuova, Firenze, 1932, e ai principii esposti nel cap. introduttivo del suo vol., La nuova filologia e l’ediz. dei nostri scrittori da Dante al Manzoni, Firenze, 1938.
  3. Ho tenuto presenti le utilissime Note sulla grafia italiana nel Rinascimento di B. Migliorini negli «Studi di Filologia Italiana», XIII, 1955, pp. 259 96, ristampate poi in Saggi linguistici, Firenze, 1957, pp. 197-225.