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132 profugiorum ab ærumna

e consignato. Dicea Ennio poeta: non mi piangete, non mi fate essequie, ch’io volo vivo fra le parole degli uomini dotti.

Ma non mi stendo in lodare l’affaticarsi in cose pregiate e degne. Solo ammonisco qui Battista quanto io stimo bisogni essercitarsi. Chi vive senza faccende, dicea Plauto quel poeta, ha più che fare che chi è faccendoso; e’ va su e va giù, e non sta qui né quivi, erra e combatte sé stessi. E noi, produtti in vita quasi come la nave, non per marcirsi in porto ma per sulcare lunghe vie in mare, sempre tenderemo collo essercitarci a qualche laude e frutto di gloria. E gioverà imporre a noi stessi qualche necessità di così essercitarci in virtù. Io deliberai un tempo riconoscere tutto quello che scrisse Aristotile in filosofia. Chiamai alcuni studiosi e a me imposi legger loro ogni dì due ore. Quella ascrittami quasi necessità mi fece assiduo più ch’io forse non sarei stato. Scrive Solino che ’l cervo ausa e’ suoi nati a correre e fuggire. E se el cervo e l’altre bestie da natura cognoscono e’ suoi bisogni e utilità, noi nati uomini a che ne addestreremo? Adunque noi in ogni attitudine a bene vivere, ma in prima in quel che più bisogna più ne auseremo. E non sia chi dubiti che sopra tutto bisogna ausarsi ad odiare e fuggire ogni vizio prossimo molto. E molto giova darsi a meritare fama e immortalità di suo nome e memoria. Ma sopra ogni cosa conviensi ben curare e cultivare l’animo con buona instituzione e degna erudizione. E’ vezzi del corpo infracidano l’animo e rendonlo vizioso. Però sarà nostra precipua e assidua opera essercitarci a vita qual si contenti di cose e poche e facili a trovarle.

Scrive Iulio Capitolino che Marco Aurelio Antonino, rettore dello imperio di Roma, per imparare a sofferire se stessi dormiva in terra, e cose molte altre facea simili a Diogene filosofo, quale e’ recitano che a mezzo inverno abbracciava le statue marmoree cariche di ghiaccio solo per ausarsi a sofferire le cose avverse. Appresso Silio poeta, Serano lodava Regulo in questi versi:

Illuviem atque inopes mensas durumque cubile
et certare malis urgentibus hoste putabat
devicto maius; nec tam fugisse cavendo
adversa egregium, quam perdomuisse ferendo.