Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/359

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naufragio 353

sino al mento non più credavamo che solo potere respirare, ora da quello ultimo pericolo liberi non potavamo patire le veste indosso molli. Nudammoci in molta parte, e in quella fortuna perduto ogni cosa lodavamo Idio che avamo da potere assederci benché maldestri. Sarebbe istoria lunga raccontare quante varie memorie e ragionamenti nei nostri animi e fra noi in quello spazio soveniano. Eravi el dolore delle cose perdute, eravi la letizia della già presso veduta terra, eravi speranza insieme e paura d’ogni cosa futura, tale che quasi eravamo alieni e fuori d’ogni nostra mente. Conferivavi la lunga vigilia, el digiuno, el freddo, per quali eravamo si può dire spacciati, tale che ciascuno di noi e pe’ suoi mali e per la misericordia de’ compagni posti in simile calamità nulla quasi potavam di noi stessi.


4.     In questo modo stemmo due dì, fra quali mali solo uno era quello che noi atterrava, la fame. Pareaci meglio già prima essere periti che ora vivere in tanto desiderio di saziarsi. E in prima quel barbaro nostro compagno in tanti infortuni, di natura feroce e d’ingegno bestiale e audacissimo, arse in tanta sevizia che e’ tentò cosa inaudita, incredibile e degna di biastemarlo. Porsesi a me presso alla orecchia tutto interriato nel viso, coll’alito tremitoso, e denteggiando, e prima susurrando cominciò pregarmi e pregandomi alzò la voce persino a garirmi, dimandandomi ch’io lasciassi ucciderli quella infelicissima fanciulla compagna mia in questa acerbissima fortuna, per pascersi. La fanciulla che sentiva que’ ragionamenti, aimè, non posso dire quanti pianti fussero e’ suoi! E a me tanta atrocità di questo barbaro, e la misericordia di questa pura e tenera fanciulla, ah, e quanto mi perturbò! Temea per lei, temea e per me stessi, e cominciai a ripensare molte e molte cose, e dicea: siamo noi servati da tanta e sì rabbiosa tempesta per esser cibo a questo barbaro? Piansi.