Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/363

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naufragio 357

ci hanno mostra, sarà con grato ed espettato bene». E così adonque dava io opera di distorre quel barbaro da tanta immanità. Ma voi, o amici miei ottimi, che animo credete fusse el mio mentre ch’io dicea? Qual’erano cose ch’io meno volessi prima che vedermi innanzi quella belva con quel fronte aspero e apparecchiata d’ogni parte a crudelità? Ma sostenea me stessi con l’animo presente, e curava ogni salute di quella fanciulla. Questo ultimo troppo mi comosse quando con un grande urlo quel barbaro gridò: «Un di voi convien che muoia». Ed esasperato infuriò tanto che biastemò Iddio, e colle mani già me opprimea. O spettaculo durissimo! La fanciulla impaurita mi si getta a’ piedi, pregami. El barbaro già presto e arrabbiato cominciava essequire la crudelità. Io in mezzo consolava costei, sgridava quest’altro e me straccava. Quel pessimo barbaro, quanto io più li distoglieva ogni suo brutto incetto, allora più ardeva in rabbia. Oimè, alla fanciulla già erano mancate le lacrime, e a me apresso questa bestia non più erano preghiere. Questo furioso rompe e con tutte le forze si getta a questa misera fanciulla per strangolarla. Qui benché stracco e languido pe’ sofferti sinistri, pur da tanta indignità mi nacquero forze, e presi questo arrabbiato quale ora verso la fanciulla ora verso di me con morsi, con pugni si inasperiva, sudai tanto ch’io glielo tolsi da dosso. Presi con tutte due le mani mie la sua destra mano e svolsigliela drieto alle spalle con tanto impeto che pel dolore egli urlò. Tennilo tanto che la fanciulla m’aitò e presegli l’altra mano e simile la svolse. Contenemmolo tanto che stracciata la camicia della fanciulla e fattone una e un’altra