Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/70

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64 theogenius

bili. E abbi cura, o Tichipedo mio, che a te non manchino più cose non da te conosciute facile ad averle, e molto più che questo fonte dilettose, senza quali non puoi essere non misero e infelice». Qui uno de quegli assentatori venuti con Tichipedo: «E qual cosa», disse, «può desiderare uno uomo per essere felicissimo quale non sia presso di Tichipedo, bello, ricco, amato, e fra’ suoi cittadini in ogni amplitudine quasi primo fortunatissimo?». Qui Genipatro porse la mano aperta verso di me in mezzo e sorridendo disse: «Le cose qual sono qui presso a Teogenio, quanto mi pare comprendere, sono quelle che mancano a simili a voi benché fortunatissimi. Simile a costui, o Tichipedo, convien che sia chi vuol essere felice, el quale gode questo fonte amenissimo da te tanto desiderato». «Anzi», dissi io, «a te, Genipatro, sia simile chi desidera sé essere beato, apresso cui sono tutte le cose degne e lodate». «Noi adunque», disse quello assentatore, credo per muoverci a riso, «quali desideriamo essere felici, sarà nostra opera tanto zappare su questi monti che le nostre mani diventino callose per non essere dissimili da Genipatro!». Erano le mani a Genipatro callose per lo essercitarsi alla coltura dell’orto suo quando ogni dì esso dava opera qualche ora alla sanità. Rise Tichipedo. Adunque disse Genipatro: «O dolcissimi, quando voi arete inteso el nostro ragionamento, credo iudicherete questi miei calli come segni di qualche industria così più accomodati a felicità che tutte le gemme, con quali ornamenti spesso gli ambiziosi sogliono ostentare sue ricchezze». Molte parole quinci e quindi furon fra quelli inettissimi assentatori, per quali Genipatro vedendosi fatto loro giuoco dedusse e’ ragionamenti, e con maturità si volse a Tichipedo e disse: «Tu, o Tichipedo, giovane fermo e robusto: io vecchierello, debole, languido. Tu ricco, abbiente danari, massarizie, armenti, prati, boschi, orti, ville, possessioni entro e fuori della terra: io povero, nudo. A te padre ottimo, procuratore delle tue fortune; a te figliuoli, a te fratelli temuti e reveriti: io solo. Tu in la tua patria fra’ primi amministratori delle cose noto e nominato: io in essilio ignobile. Difformità tra noi grandissima. Ma quale stimi tu direbbe un savio uomo più fusse di noi due beato?».