Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/151

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confraternita è arrivato al ponte. Vuoi che ti porti fuori?»

«No, grazie,» rispose Dorina, «la mamma mi ha promesso di correre avanti e di portarmi su alla finestra.»

«Come vuoi.» E le si sedette accanto. «Sono Venuta per farti ancora le mie scuse: mi è parso che sei rimasta un po’ spiacente perchè non posso essere la tua madrina. Ma tu che sei tanto buona devi goder di pensare che lo sarò di quella povera figliola infelice».

«Oh, infelice?! Raffaella?»

«Ma sì, cara. Se tu sapessi che vita dura è la sua. Lavorare dalla mattina alla sera, a lavori così faticosi che non so come ci resista, e non aver mai un compenso! mangiar male, non aver mai il piacere di un vestito nuovo, — la vestono sempre cogli abiti smessi dalla mamma o da Savina: non aver mai un soldo per sè, mai una giornata di sollievo! E pazienza ancora tutto questo; ma se almeno la compensassero con qualche buona parola! ma i fratelli più grandi sono sempre in Svizzera o in Francia a lavorare, e quelli che sono in casa non fanno che strapazzarla. Non parliamo poi di Nocente; quello non le dà che pedate dal giorno che è tornata dalla balia. Sua madre, povera donna, sempre irritata, sempre crucciata, ora più che mai dopo la morte di suo marito, grida a volte perchè gli altri trattano male Raffaella, ma non s’accorge che lei non la tratta meglio Savina, ora che ha preso marito lo dice: che la sua casa è proprio un inferno.»

«Sì, ma Raffaella sta bene, è forte ed allegra.» «Oh, per salute, sì, ne ha» rispose Grazia con un