Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/183

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Vicino a lui, più alto di lui, c’era un altro colosso i cui capelli biondi contrastavano col bruno dell’altro. Il vecchio gli teneva una mano sulla spalla e pareva dire: questo è degno di succedere a me!

Arrivò correndo il figlio dell’albergatore. «È qui! è qui! È a piedi: ha svoltato l’angolo della cappelletta.»

Tutti i ragazzi sorrisero impazienti, schierandosi meglio: gli assessori si tirarono un passo indietro dal sindaco e le signore fecero ala alla porta della locanda formando un gruppo vivace colle loro vesti chiare e colorate e i grandi cappelli di paglia.

Arrivando su dalla strada mulattiera si sbuca subito nella piazza, che par metter lì tutto quel di meglio che possiede per far accoglienza a chi arriva. E la Regina si fermò, sorpresa, come davanti a un palcoscenico.

«È lei? mai più! sì, è lei! evviva la Regina!»

Sempre ferma, appoggiata all’alto bastone ferrato, Ella sorrise salutando.

«Ma non ha il manto! non ha la corona. Eppure è lei, è lei!»

«Non è a cavallo.... e neppure in lettiga. Dove sono i cavalieri? dove sono i corazzieri?»

Aveva seco una signora e una signorina vestite di panno blu, molto semplicemente, e tre signori col cappello a punta ornato di una penna di fagiano, i pantaloni corti e le ghette alte. Ed ella, la Regina, la prima signora d’Italia, era lì vestita come le montanare valdostane: gonnella corta orlata di rosso, grembialino di seta nera, bustina di velluto verde da cui usciva a sbuffi la camicia di tela bianca; in testa un cappello di panno verde colla tesa diritta, foderata