Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/57

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e la maestra invidiava la mamma fortunata di quel caro bambinone.

Com’era forte, serio e dolce insieme! non c’era pericolo che si distraesse un momento durante le lezioni; i suoi occhioni erano sempre fissi sui cartelloni o sulla lavagna e quando toccava a lui di ripetere le lezioni, la sua voce forte e sicura si faceva ascoltare da tutti, inorgogliva la maestra.

Da principio egli aveva coi suoi compagni delle preoccupazioni proprio buffe: pareva che essi fossero di vetro e che ci fosse pericolo soltanto ad accostarli: girava largo per non urtarli, camminava lentamente, guardando di qua e di là; se uno gli prendeva la mano, egli teneva la sua tutta aperta colle dita larghe per paura di stringerlo troppo. Ma poi a poco a poco egli divenne la chioccia con intorno i pulcini.

In una sola cosa egli non riusciva: a intrecciar bene le listerelle di carta e le pagliette; ma era una gara fra le bambine a chi potesse aiutarlo.

«Tu l’hai aiutato ieri, oggi tocca a me.» Ed erano tutte fiere di poter dire alla signora maestra: «Guardi, guardi che bel cestellino ha fatto Natale! l’ha fatto proprio lui!»

«Non è vero,» soggiungeva sempre Natale se sentiva, «io non sono buono se non mi aiutano.»

Durante la ricreazione era un gridare: «Natale, cosa facciamo? Natale, aiutami.» Era lui che inventava i giochi più belli, quello della stalla colle pecore, ch’erano le bambine, col pastore che dormiva e il lupo che veniva di notte per mangiarle. Il lupo era lui; veniva a quattro gambe, facendo un verso lungo, ma le pecore ridevano piano, senza rabbrivi-