Il pino d’Aleppo, quello che ci reca i pinocchi, e il marittimo, crescono spontanei in Sicilia, sulle coste d’Africa, pel litorale della Provenza, nelle isolette del Golfo della Spezia; e i viaggiatori ci raccontano che i più umili poggi dell’isola di Cuba vagamente verdeggiano di pini (pinus occidenlalis), e che le pianure paludose della Luigiana sono quasi per ogni dove gremite di cipressi di una specie particolare (il cupressus disticha di Linneo). Ma queste sono eccezioni: il più delle conifere per la qualità del fogliame breve e sottile, per la sodezza del fusto, per la copia della ragia, di cui sono impregnate in ogni loro parte, sembrano mirabilmente conformate a resistere all’impeto de’ venti, a sopportare il rigore d’intensi freddi, e però salgono molto in su pei dorsi delle montagne, disputando alle cupulifere le più elevate stazioni e i luoghi di più difficile accesso. L’abete nelle Alpi elvetiche (5520 p.), il pinus uncinata ne’ Pirenei, il magnifico cedro deodevara (legno degli Dei) nella gran catena dell’Imalaja (al Nepaul 11,000 p.), il pino di Lord Weymouth nelle montagne rocciose degli Stati Uniti, il pino di Montezuma, che cresce sulle Ande tropicali del Messico fino a 12158 p. (2000 p. al disopra del cratere dell’Etna) segnano ovunque gli ultimi confini della vegetazione arborea sopra il livello del mare, non altrimenti che verso le regioni iperboree. Nè si troverebbe per avventura albero d’altra famiglia, salvo