Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/160

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120 i fuochi dell’appennino.


III.

     Perché dal sen di quell’elisio golfo
Spunta là vêr ponente un’altra croce
A contristar quel tiepido teatro
Di palagi, d’aranci e d’oliveti?
Forse è l’indizio ch’ivi cadde un giorno
Sotto il perfido stil dell’assassino
Un vïatore. Il mulattier che scende
Dal petroso cammin de la collina,
Giunto davanti a quella croce, il canto
Sospende, scopre il capo, e prega, e in via
Poscia rimette al suon d’una bestemmia
L’unghia ferrata de la sua giumenta.
No; t’inganni: laggiù dentro a un fiorito
Sepolcro di cinerea lavagna,
I trafficanti di famiglie umane
Ancor viva calar l’ardimentosa
Mercadantessa, che da Giano à nome,
E deserta finiva, ella che avea
Dato l’aure vitali, e le fidenti
Audacie, e l’ansia di venture, e il primo
Amoreggiar coi remi all’indovino
Dell’atlantico mar che trovò un mondo
Da Dio nascosto. Pel suo porto un tempo
Di merce carchi, di valor, di senno
Andavano e reddiano i suoi navigli,
Come le spole in man del tessitore.
Ma in un momento di mercato iniquo
Fu recisa la sua libera vita,
Come fil che recide il tessitore.