Con disperata man de lo stromento
Corse le corde in faccia del tiranno,
E cantossi la morte. Era un concento
Di gemiti, di fremiti; un affanno
Senza lamento.
Poscia cantò le ceneri e la tomba
De la sua patria misera, e la valle
Del Tigri schiava. E sibili di fromba
Quelle note parean; fischi di palle,
Squilli di tromba.
Intonò alfine l’inno dei redenti:
Narrò la pace, il rinnovato aprile
Dell’arti, i lieti campi, i monumenti;
Narrò l’amor, la voluttà gentile
D’esser clementi.
In quello istante divenuto buono
Era ogni tristo, e si quetaron l’ire.
Taccion le schiere: dal gemmato trono,
Sorridendo, al Cantor concede il Sire
Vita e perdono.
Anch’io ti dissi un giorno, o traditora:
«Senza di te morrei: oh non lasciarmi
Languir! Oh non voler che meco muora
Questo che tu mi spiri estro dei carmi,
Dolce Signora!»
E l’itala cantai buona novella
Sfidando il palco de l’austriaca gente,
E con l’audacia di canzon ribella
Le battaglie predissi, e la nascente
Itala stella,