Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/337

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NOTE.



(1) Con le seguenti parole io accompagnava questo canto al mio amico V. Baffi:

«Vi mando un lavorino di alcuni anni fa, scritto sotto gli occhi d’Argo dell’Austria; quando nel sospetto continuo di qualche perquisizione in casa, bisognava scrivere venti versi, e poi nasconderli in qualche buco, e poi, come più volte m’è accaduto, non li trovando più, doverli rifare, o gittar il lavoro. Nullameno a scrivere così, coi birri alla porta, col carcere davanti, c’era, come spesso nei pericoli, la sua acre voluttà.» E ò gusto d’averla provata.

È canto inedito, e forse meriterebbe rimanervi: è un richiamo a’ giuochi giovanili. È tanto salutare rinfrescarsi di quando in quando l’anima entro a quelle innocenti memorie.

Non so se voi altri conosciate il giuoco del tamburino. Questo è un arnese di assicciuole di faggio curvate in cerchio, sulle quali vien tesa e assicurata da bullette una pelle di vitello più o meno elastica e sottile secondo serve a battuta o a rimando. Con esso si lanciano palle di sovatto, picciolette e pesanti, colle discipline a un di presso che si usano nel giuoco del pallone.

Da noi è comune. Molte ville, la festa, suonano di colpi. Io ero, salvo la modestia, valentissimo; e tuttavia che ne parlo, mi pare di essere sbracciato, sudante sul piazzale, e respiro la sventata aria dei vent’anni. Oh allora ero felice! Ora...ora vi mando questi versi e un saluto di cuore.

Il vostro Aleardi.»


(2) Il Pastelo è il monte, alle falde del quale si distende al sole, Tempe veronese, la Valpolicella. Povera valle con le sue