Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/476

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436 arnalda di roca

Lì, su la sella mi vedeva assiso
Un cocente fantasima di sabbia
Ad abbracciarmi. Allor che mi riebbi,
E blanda al cor mi rifluì la vita,
Posava sotto un sicomoro; e al capo
Facea guancial la lapide solinga
D’un Mussulmano. Un cavalier d’Arabia
Mi sorreggea pïetosamente il padre
Per sua cura redento. E fino al mare
Si offerse a la novella alba guidarci
Per la via perigliosa. Esule errava
Per delitti non suoi entro il deserto.
Bello era, e generoso, era proscritto,
Ed infelice, e mi richiese amore.
Io non l’ò amato, ma pietà sentii
Di quel gentile, che nel cor m’impresse
Una memoria che tuttor mi tocca.
Ora è qui, tu il conosci, è il prode Assano.
Odi una prece, Nello mio; nell’ora
De la battaglia, non drizzar la freccia
Te ne scongiuro, non drizzarla al pio
Che m’à salvato il padre...”

                                                      Da le mura
Un improvviso fulminar di bronzi
Manda la voce de la sfida; e l’eco
Di monte in monte la diffonde, e muore.