Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/480

Da Wikisource.
440 arnalda di roca

Una ruina di cadenti pietre,
Balestrate da impavidi fanciulli
Usi a validi giuochi, e da animose
Giovani, ne la santa ira più belle.

     Ma lungamente fulminato il vallo,
Come terra per molte acque s’insolca:
E già le torri eran diserte, e i radi
Propugnator de la città scorata
Già cadean rassegnati. Era una ressa
D’orfanelli accorrenti a le gelate
Labbra dei padri, un accorato e lungo
Iterarsi d’amplessi, un lagrimoso
Passaggio di cadaveri diletti:
E per le case, per le vie, nei templi
Un ululo di morte e di terrore
Tristamente correva. Ahi! la fortuna
Volse i crini a la valle, consueta
Meretrice dei molti e de gli iniqui.

     Vedi tu là quell’uom, che torvo e scuro,
Come una notte di tempesta, à l’occhio,
E la barba à d’argento, e ritto accanto
Al pennoncello de la sua progenie,
Par simulacro su quell’ardua torre
Che a’ lieti giorni di speranze altere
Gl’imprevidenti nominâr Costanza?
Quello è un gagliardo che non à sorrisi,
Che lagrime non à, tranne per due
Cose dilette; e due gentili amori
Ne governano il cor costantemente:
Amor di figlio per la bella Cipro,
Amor di padre per Arnalda bella,