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484 arnalda di roca

Alcun vestigio che di te gli parli.
Forse de la nascente alba più pura
Salivi al cielo, e la crüenta piaga
Che il niveo sen di martire ti squarcia,
Ti fea cortese il guardïan severo
Del paradiso? e con aperte braccia
Ti corse la paterna ombra dinante?

     Muta, ferita, del pallor del cero
Che ne le chiese illumina gli altari,
Non fidente che in Dio, respira ancora
La vergine di Roca. — Il fianco posa
Molle di sangue in quell’angol riposto
Dell’asciutta carena ove il marino
Serba geloso la fulminea polve:
Quivi soletta nel silenzio attende
Rassegnata la morte.

                                      Ahi! questo pure
Ultimo e fiero asilo è invidïato
A la diserta. Ànno odorato i falchi
De la colomba moribonda il nido.
Inoltra col mantello insanguinato
L’arabo vincitore, e nel suo sguardo
Traluce di dannata anima un lampo.
Addietro a lui due schiavi d’Etiopia
L’un con la face ne rischiara i passi
Giù per le scale, e reca l’altro un colmo
Bacil coperto di broccato d’oro.

     “Mia sultana d’amor, bella fra tutte
L’avventurose Uri del ciel, perdona
Se di ritardi al talamo promesso