Pagina:Alencar - Il guarany, I-II, 1864.djvu/57

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il corpo cedendo a quella languidezza, che vien prodotta da una sera tranquilla, lasciava che l’immaginazione spaziasse a suo talento.

I tiepidi aliti delle aurette, che veniano carichi di profumi dalle madreselve e dalle acucene agresti, eccitavano ancora più quel dolce obblìo, e spiravano per avventura in quell’alma innocente qualche pensiero indefinito, alcuno di quei miti di un cuore di fanciulla a diciotto anni.

Sognava che una di quelle nuvole bianche, che passavano pel cielo annebbiato, sfiorando la punta delle roccie aprivasi di repente; e un uomo veniva a cadere a’ suoi piè timido e supplichevole.

Sognava che arrossiva, che un color vivo accendeva le rose delle sue guancie; ma a poco a poco quell’estasi casta iva dileguandosi, e terminava in un grazioso sorriso, che parea che l’anima si venisse a posare sulle sue labbra.

Col seno palpitante, tutta tremola e al tempo stesso contenta e felice, apriva gli occhi; ma volgeva altrove lo sguardo con ribrezzo, perchè in luogo del vago cavaliere che avea sognato, vedeva a’ suoi piè un selvaggio. Era allora assalita da uno di quegli accessi di collera di regina offesa, che faceva inarcarle i biondi sopraccigli, e battere sopra l’erba la punta del piede dilicato.

Ma lo schiavo supplichevole levava gli occhi tanto addolorati, tanto pieni di preghiere mute e di rassegnazione, che ella provava un non so che di inesprimibile, e rimaneva triste, triste, finchè fuggiva e ivasene a piangere.