Pagina:Alencar - Il guarany, II, 1864.djvu/9

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a Fernando Aines, e lo buttò malconcio in fondo al portico.

Il suo compagno restò immobile per molto tempo; dipoi cominciò a tremare, come fosse assalito dal freddo della terzana: il police disteso per fare il segno della croce, i denti che battevano gli uni contro gli altri, il volto contratto, davangli un aspetto terribile e grottesco al tempo stesso.

Il frate si era fatto livido, come fosse egli la vittima della catastrofe; il terrore alterò un istante la sua fisonomia; ma ben tosto un sorriso sardonico gli sfuggì dalle labbra, ancora scolorate dalla scossa violenta che avea sofferto.

Passato il primo momento di stupore, ambedue si avvicinarono al ferito per soccorrerlo; questi fece un gran sforzo, e sollevandosi sopra un braccio, mandò fuori fra una boccata di sangue queste parole:

— Castigo del cielo!...

Accorgendosi che non ci avea più rimedio per il corpo, il moribondo pensò a quello dell’anima, e con voce fioca chiese frate Angelo che gli udisse la sua confessione.

Nunes fece entrare il suo compagno in una camera, la cui porta metteva nel portico, e lo adagiò sopra un letto di cuoio.

Già si era fatta notte; la camera conservava i nella maggior oscurità; appena di tratto in tratto i baleni gettavano un chiarore azzurrognolo sopra il confessore mezzo, chinato sul moribondo, per