Pagina:Alencar - Il guarany, III-IV, 1864.djvu/10

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Don Diego piegò un ginocchio a terra, e baciò con tenerezza la mano del fidalgo:

— Perdonate, padre mio, se non vi aveva compreso. Dovea indovinare che don Antonio de Mariz non può richiedere dal figlio, se non ciò che è degno del padre.

— Andate, don Diego, non v’ha tempo da perdere. Ricordatevi che un’ora, un minuto di ritardo non abbiano per avventura ad essere contati ansiosamente da quelli che vi attendono.

— Parto in quest’istante, disse il cavaliere in atto di avviarsi alla porta.

— Prendete; questa carta è per don Francesco di Souza, governatore di cotesto distretto; quest’altra è per mio cognato e vostro zio Crispim Tenreiro. Nella prima chiedo un soccorso di gente contro il probabile assalto degli Aimorè. Sono certo che il governatore non tarderà a rinviarvi accompagnato da buon nerbo de’ suoi soldati. Nella seconda do avviso a vostro zio del pecolo che ci minaccia, e lo prego, in caso di disgrazia, di vegliare sopra quelli della mia famiglia che sopravviveranno, che forse sarete voi solo....

Queste ultime parole furono pronunciate dal fidalgo con un tuono di voce molto commosso; indi riprese mestamente:

— Potessi allontanare anche Cecilia, e toglierla al fato che le sovrasta. Povera fanciulla! Forse la tua esistenza non è dissimile a quella del fiore schiantato dal turbine anzi la sera. Ed io di te