Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 111 — |
sentendo la piroga immobile, si scosse dalle sue meditazioni; si assise e sporgendosi un po’ innanzi vide che il suo amico dormiva, e accusò sè stessa di non avergli anticipato quel momento di riposo.
Il primo sentimento che s’impadronì della fanciulla, vedendosi sola, fu quel terrore solenne e rispettoso, che infonde la solitudine nel mezzo del deserto, nelle ore morte della notte.
Pare che il silenzio abbia umani accenti; le ombre si popolano di enti invisibili; gli oggetti nella loro immobilità oscillano nello spazio.
È al tempo stesso il nulla col suo vuoto profondo, immenso, infinito; è il caos colla sua confusione, le sue tenebre, le sue forme increate; l’anima sente che manca la vita o la luce attorno di sè.
Cecilia ricevette quell’impressione con una tema religiosa; ma non si lasciò dominar dalla paura; la sventura aveala assuefatta al pericolo; e la fiducia nel suo compagno era tanta, che pur dormendo le parea che Pery vegliasse sopra di lei.
Contemplando quel capo addormentato, la fanciulla ammirò la bellezza incolta di quei lineamenti, la purezza delle linee di quel profilo altiero, quell’espressione di forza e intelligenza, che animava quel busto selvaggio modellato dalla natura.
Come mai non avea scorto fin là in quelle sembianze se non un volto amico? Come mai i suoi occhi non si erano ancor arrestati su quelle fattezze tagliate con tanta energia?