Pagina:Alessandro Volta, alpinista.djvu/53

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il volta alpinista 49


ed a lasciarseli addietro, salendo egli solo sopra le balze più scoscese; come oltre ai ferri uncinati, di cui sogliono quei cacciatori ed altri che vanno in cerca di cristalli di rocca, armare le scarpe, dovette imaginare nuovi ordigni, e far uso di catene e di corde, dove a salire i più irti greppi, dove a calare ne’ più profondi precipizî. Ci narrava varî incontri pericolosissimi che ebbe, e per cui dovette ora rimpiattarsi ne’ nascondigli, ora coprirsi sotto le spoglie di cacciatore, ora sottrarsi colla fuga alla persecuzione di rozzi montanari, che, gelosi eccessivamente di loro indipendenza e sospettosi d’ogni cosa, lo avrebbero di sicuro maltrattato, se non anche cercato a morte, qualora ravvisato l’avessero per forastiero; e dall’apparecchio degli stromenti, dalle operazioni di prender misure, siccome da altre sue curiose ricerche, imaginati si fossero di vedere in lui un esploratore che cerca di riconoscere i posti, per poi dare in mano ad un padrone il loro paese, da essi creduto libero e sicuro in quanto solo si mantiene inaccessibile o almeno non conosciuto1.

«Finalmente, tra gli stenti e le difficoltà ch’altri crederebbe insuperabili, da esso però superate, quella ci descrisse, che a lui ed a noi parve la maggiore di tutte, ed è il procurarsi il sostentamento per settimane intiere ch’ebbe a passare percorrendo i più alti dirupi e le nude vette scoscese, lontanissimo come da ogni abitazione così da qualunque soccorso de’ viventi. Già il portar seco molta provvisione di pane o d’altri cibi non era possibile, dovendo fare assai a salire arrampicando con mani e piedi l’uomo solo sciolto da ogni impaccio. Ma quando pure ne avesse potuto portare in sufficiente quantità, come poi supplire alla mancanza dell’acqua per bere, non che per immollare il pane dopo pochi giorni indurito? In molti siti, è vero, avrebbe potuto dissetarsi colla neve o col ghiaccio, di cui nelle più grandi altezze de’ monti qualche dorso si trova sempre coperto e qualche valle ripiena. Ma vi hanno pure lunghi tratti aridi e nudi, dove manca perfino un sì miserabile ristoro; e tali sono ordinariamente gli ultimi greppi. Or come passarvi le intiere giornate, parte a vi-

  1. Una spiacevole avventura, del genere di queste, toccò a Lazzaro Spallanzani quando nel 1772, perlustrando le montagne del Lario, si addentrò in Val Cavargna. Quegli alpigiani, fortemente insospettitisi della presenza dello scienziato, che portava seco vari strumenti da essi interpretati per chissà quali macchine infernali, lo attorniarono armati di pistole e di archibugi, minacciandolo di morte. Ma lo lasciarono libero ed incolume non appena egli spiegò loro lo scopo pacifico delle sue gite. Così narrano il Giovio, nelle Lettere lariane, lett. VIII (Como, 1803 e 1827) ed il Monti nella Storia di Como (vol. II, parte I, pag. 616), Quest’ultimo aggiunge che i Cavargnoni assalirono lo Spallanzani, non per tema che questi minasse alla loro indipendenza, ma perchè credettero fosse un gabelliere lassù salito per aumentare il prezzo del sale.
M. Cermenati: Il Volta Alpinista — 4